Maria, 17 anni, dall’anoressia alla rinascita.
“Oggi aiuto gli altri ragazzi come me sui social”

Maria ha due occhi grandi e curiosi e un sorriso puro e delicato. Frequenta il quarto anno del liceo linguistico a Firenze, ama leggere ma ancora di più scrivere. Nel 2020, in piena pandemia, si è ammalata gravemente di anoressia. Oggi, a distanza di due anni, è in fase di guarigione

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Maria ha 17 anni, due occhi grandi e curiosi e un sorriso puro e delicato. Frequenta il quarto anno del liceo linguistico a Firenze, ama leggere ma ancora di più scrivere. Nel 2020, in piena pandemia, si è ammalata gravemente di anoressia. Oggi, a distanza di due anni, è in fase di guarigione e, attraverso i suoi canali social, spiega come si riconosce un disturbo alimentare e quanti pregiudizi e stereotipi sono ancora legati a esso. Ha il volto candido Maria ma dimostra consapevolezza e determinazione quando racconta con lucidità l’esperienza della malattia, gli iniziali tentativi di nasconderla, il rapido peggioramento delle sue condizioni di salute fino all’ospedalizzazione. “Mi sono ammalata in pieno lockdown, le scuole erano appena state chiuse, ho cominciato a stare male proprio a marzo 2020 e sono stata ricoverata a giugno. La pandemia è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, l’essere da sola ha facilitato il mio disturbo. Non mi vedeva nessuno e in casa potevo coprire più facilmente certi atteggiamenti. A un certo punto non è stato più possibile mascherare e sono crollata.” Il decorso della malattia di Maria è stato molto rapido e dopo pochi mesi ha dovuto effettuare l’accesso al pronto soccorso per la criticità delle sue condizioni.

“Il ricovero è stata un’esperienza dura. La malnutrizione aveva provocato una disfunzione cardiaca, per questo mi dovevano controllare giorno e notte. Personalmente, da una parte non volevo guarire, dall’altra però ho iniziato a spaventarmi. Oggi mi sento di dire che anche essere arrivata a toccare il fondo mi ha aiutata a svegliarmi. L’istinto di sopravvivenza mi ha fatto capire che dovevo provare a guarire. Sapere che hanno dovuto accelerare la rialimentazione perché era urgente mi ha permesso di fare uno sforzo in più, anche se mi sentivo obbligata. Da quel momento ho compreso che volevo guarire, che volevo collaborare.”
Dalle parole di Maria emerge un profondo senso di riconoscenza nei confronti dei medici e di tutti gli operatori sanitari che l’hanno accompagnata nel suo percorso. È merito loro se è riuscita a superare il peggio e di questo ne è molto grata.  “Sono stata seguita da un team di specialisti, c’era un supporto psicologico ma non potevo affrontare una psicoterapia perché non avevo abbastanza energie. I dottori mi hanno spiegato che ci vogliono delle calorie anche per pensare e la mia malnutrizione non me lo permetteva.  La consapevolezza è arrivata proprio grazie ai medici che mi hanno spiegato come funziona la malattia e sono stati sempre pronti a rispondere alle mie domande, devo molto a loro.”
Alle informazioni fornite dai medici si sono unite le ricerche che Maria, spinta dalla curiosità, ha svolto in materia di dca. Tutti i contenuti che pubblica si basano su studi scientifici che utilizza sui social per fare divulgazione. Tra i vari post ce ne sono alcuni con dei dati allarmanti.

“Ben 3 milioni di persone in Italia soffrono di dca. Ho provato a pensare a quanti sono, un numero enorme, com’è possibile che non se ne parli? Raramente capita qualche servizio in televisione. Idem a scuola dove al massimo, se sei fortunato, puoi partecipare a un progetto, ma non è una cosa così comune. Bisogna pensare, però, che le famiglie non hanno gli strumenti per riconoscere un dca invece tutte le istituzioni educative hanno il potere e il dovere di informare. Allora mi sono chiesta se a me avrebbe aiutato incontrare qualcuno sui social che spiegasse questo mondo. La risposta è sì. Se qualcuno ne avesse parlato forse avrei riconosciuto qualche sintomo. Inoltre, conoscere la malattia è importante non solo per chi vive il disturbo in maniera diretta ma anche per chi sta accanto alle persone che ne soffrono. Spesso mi scrivono amici di persone con dca perché sono pieni di dubbi e non sanno come affrontare il problema.”
La sensibilità di Maria rispetto a questo argomento è tangibile e si percepisce il desiderio di far raggiungere il suo messaggio a quante più persone possibili, convinta che ancora si faccia troppo poco.
“Il 15 marzo è la giornata nazionale contro i disturbi del comportamento alimentare, chiamata anche del fiocchetto lilla. La data non è casuale, in quel giorno è morta una ragazza di bulimia. La sua storia è toccante, quando è morta era in lista d’attesa, le avevano detto che non era abbastanza grave e che poteva aspettare. Come lei ce ne sono più di tremila all’anno. Il problema è che in Italia ci sono pochissime strutture dedicate, i medici non sanno come fare e a malincuore devono mettere in lista d’attesa chi ne ha bisogno adesso. Io sono stata fortunata a non dover attendere perché ero troppo urgente. Non bisogna però arrivare alla mia condizione per sentirsi ammalati, molte persone raggiungono l’estremo perché pensano di non meritare cure. Ci sono delle criticità serie su più livelli, purtroppo”.

Oggi Maria ha un profilo Instagram seguito da più di seimila persone, una comunità virtuale che crede in lei e con cui ha avuto numerosi scambi e confronti. “L’obiettivo principale del mio profilo è quello di eliminare pregiudizi. Ci sono ancora troppi stereotipi legati all’anoressia e alle malattie mentali in generale. È vero, non è un tabù, ma se ne parla spesso male. Ho iniziato pubblicando qualche post o qualche storia sui disturbi alimentari e mi sono resa conto che piaceva a me in primis parlarne, poter divulgare era una valvola di sfogo. Allora ho continuato, ho trovato il mio stile, ho capito su cosa volessi concentrarmi. Qualcuno dei miei reel è diventato più virale e la mia community è cresciuta. Capita di ricevere commenti spiacevoli, soprattutto quando un post va particolarmente bene. Devo dire che più di tutto mi dà fastidio quando viene sminuita la malattia, essendoci passata. Col tempo ho imparato a scindere quelli che sono solo attacchi e lascio perdere.”

Tra i post di Maria sorprende uno meno recente dove si vede lei circondata dai libri e scrive nella descrizione che proprio i libri sono il suo rifugio. “Ricordo quel post, è vecchissimo! Il mio autore preferito è Alessandro d’Avenia, ho letto tutti i suoi libri. “L’ arte di essere fragili” è un libro stupendo che ho letto mentre ero ricoverata. Mi ha aiutato a riflettere su quanto essere fragile, vulnerabile, sensibile possa essere una risorsa. Tutti questi aggettivi sento che mi appartengono sin da bambina, non solo per la malattia. A volte la mia sensibilità mi faceva sentire sbagliata, adesso so che non è così.         Oltre alla lettura ho scoperto quanto mi faccia bene scrivere, sono piena di diari e tra le note del telefono c’è tutta la mia vita. Anche quando stavo male, mettere su carta quello che provavo mi è stato utile e mi faceva sentire meno sola. È una cosa che è nata spontaneamente, adesso scrivo tutti i giorni. È molto terapeutico.” La storia di Maria è una storia di rinascita, di speranza, di scelta. La sua giovane età le permette di navigare liberamente nel mare delle possibilità, innamorata com’è adesso della vita. È ancora incerta su cosa voglia diventare da grande ma sa che continuerà a occuparsi di sensibilizzare quanto più possibile sulle tematiche legate all’anoressia. “Questa esperienza mi ha formato più di ogni anno di scuola, ho scoperto tante cose di me, anche il lato più creativo. Penso che continuerò a divulgare, magari cambieranno le modalità, incontrerò più da vicino le persone, entrerò nelle scuole. Non so in che forma ma credo che rimarrà nella mia vita”.

 

 

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