Taka, l’artigiano giapponese in riva all’Arno
«Ho mollato Tokyo per amore di Firenze»

Se qualcuno si riferisse a lui come “i' Taka di via dei Cardatori” magari si potrebbe pensare al soprannome di un calciante dei Bianchi di Santo Spirito. Invece lui è Takafumi Mochizuki, crea pezzi unici in legno pregiati per concept, disegno e lavorazione

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Se qualcuno si riferisse a lui come “i’ Taka di via dei Cardatori” magari si potrebbe pensare al soprannome di un calciante dei Bianchi di Santo Spirito. Se si parlasse del suo lavoro di artigianato artistico con il legno sarebbe facile immaginare una lunghissima tradizione. Se si entrasse nella sua bottega in San Frediano ci si potrebbe immergere nella fiorentinità più pura e scanzonata.
Accartocciate il foglio, ricominciamo.
“I’ Taka” si chiama Takafumi Mochizuki, non è fiorentino da generazioni e il nome che ha dato al suo mestiere non è annoverato nelle arti della Firenze storica.
La storia di Takafumi lo zouganista (da “zougan”, in giapponese “intarsio”) e della sua bottega è l’equivalente dell’ideale di vita che almeno una volta chiunque ha fatto: mollo tutto e apro un bar in Costa Rica. La prospettiva, vedendola dal Giappone, assume contorni leggermente diversi ma non meno affascinanti, con buona pace delle spiagge dei Caraibi.
Come si finisce a creare dei pezzi unici in legno pregiati per concept, disegno e lavorazione, pare una cosa tra le più semplici, almeno a sentirlo raccontare da lui, pacato e zen come solo un orientale può essere.

“Lavoravo come impiegato per un’azienda di design di interni – dice Taka – avevo studiato economia all’università e non avevo mai fatto corsi di arte. Nel 2007 andai ad un salone del settore a Milano e rimasi impressionato dall’Italia, mi piaceva molto lo stile italiano”. Lì il momento sliding doors, la decisione di cambiare vita, di restare in Italia, spostarsi a Firenze trovando l’opportunità di andare a bottega da un artigiano, Renato Olivastri, nella zona di Ponte Vecchio. L’impatto, come ogni sceneggiatura che racconta di due universi distanti che si incontrano, è tosto: “Con la lingua partivo da zero. Io pensavo che gli italiani parlassero un po’ di inglese, ma invece… e figuriamoci gli artigiani fiorentini, soprattutto quelli più anziani”. Parte da zero anche con il lavoro, tecniche di lavorazione e di restauro di materiali con cui non ha mai avuto contatto. Taka da questo fa nascere una commistione artistica che unisce due mondi artistici lontanissimi come quello della tradizione orientale e l’artigianato figlio di una storia secolare. In qualche modo però bisogna iniziare a conoscersi: “Il primo anno a Firenze ho girato tutti i musei, devo aver visitato gli Uffizi una ventina di volte. Ho studiato e preso ispirazione”. Le sue prime produzioni sono una miscela del suo retaggio culturale e di ciò che apprende a Firenze, la lavorazione del legno che nei suoi lavori si unisce ad esempio all’ottone o alla pelle.

Gli amici a casa che dicevano? “Qualcuno non ci credeva che avessi fatto quella scelta. Certo, avevo sempre la possibilità di mollare tutto e tornare in Giappone a fare il mio vecchio lavoro”. Due anni e mezzo a bottega da Olivastri (“il mio Maestro”, rispetto e devozione ogni volta che lo cita), seguiti da esperienze con altri artigiani imparando varie tecniche. Poi i due passaggi fondamentali: la prima mostra personale in Giappone e l’apertura della sua bottega “nel 2014, dopo due anni di burocrazia” con la prima cliente, al secondo giorno: “Pensavo sarebbe arrivata molto dopo e invece sono stato fortunato. Certo, i tempi difficili sono arrivati dopo…”. Oggi l’attività si è stabilizzata, grazie anche ai rapporti con associazioni e realtà che promuovono l’artigianato artistico. Taka torna in patria una volta l’anno per una sua mostra personale, a Tokyo o Kyoto, e per una serie di masterclass con allievi giapponesi che vogliono specializzarsi nell’intarsio: “E’ una tecnica che non esiste da noi, per questo attira molto. Qualcuno mi ha anche chiesto di venire a fare un’esperienza qui, a me piacerebbe un apprendista. Magari anche fiorentino…”
La racconta così, in maniera molto semplice anche se c’è una vita nel mezzo ribaltata e fatta scorrere da capo come una clessidra. La stessa semplicità con cui, ormai quasi sanfredianino nell’animo, dice che “Oltrarno è un’altra cosa rispetto a Firenze” e che, già c’era, a Firenze ha anche trovato moglie: “Si chiama Ayako, l’ho incontrata facendo i corsi di italiano e studiava da cantante lirica”. La vita probabilmente l’ha cambiata anche a lei.

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