Tommaso, due anni in Dad e il futuro incerto.
«Ho paura di rimanere solo. Il futuro? Non so»

Tommaso, 18 anni e studente al liceo scientifico, vittima come moltissimi altri ragazzi dell’alternarsi confuso tra DAD (didattica a distanza) e lezioni in presenza, ha passato la fine del suo terzo anno di liceo, il quarto e parte del quinto anno nelle realtà virtuali di Meet e Classroom.

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“La paura di rimanere soli fa parte un po’ di tutti noi. Io, negli ultimi due anni, ne ho avuta molta”. Tommaso, 18 anni e studente al liceo scientifico, vittima come moltissimi altri ragazzi dell’alternarsi confuso tra DAD (didattica a distanza) e lezioni in presenza, ha passato la fine del suo terzo anno di liceo, il quarto e parte del quinto anno nelle realtà virtuali di Meet e Classroom. “Durante i quindici minuti di ricreazione, non avendo nessuno con cui parlare, la cosa più semplice da fare è stare al telefono, sui social”, racconta.
Le ciglia lunghissime di Tommaso lasciano un’ombra delicata sul suo sguardo acceso, mentre si connette alla lezione. La sua voce pacata lo fa sembrare più grande della sua età, ma ha pur sempre 18 anni, e due anni della sua vita sono volati in questo modo passivo, solo, davanti allo schermo del telefono o del pc.
La sua camera è piuttosto grande: una scrivania per studiare, una poltrona per riposare e una tv. Nonostante i comfort, rimane una stanza vuota. Una stanza in cui la solitudine è rappresentata dalla figura di un diciottenne al computer, circondato da oggetti e non da persone. “Più di tutto mi manca parlare con i miei compagni, ridere e crescere con loro giorno dopo giorno tra i banchi di scuola.” Gli manca il loro supporto, poter chiedere aiuto e potersi sfogare. La socialità via smartphone, racconta, è fittizia e alienante, povera di stimoli reali.

Nemmeno la scuola gli ha mai dato troppi stimoli. Vorrebbe più dibattiti, più scambi interattivi. Ma la DAD gli ha tolto persino la possibilità di girarsi sulla sedia e vedere il volto concentrato di una sua compagna, o di allungare l’occhio sulla pagina disegnata del suo vicino di banco, di ridere con lui, di voltarsi, in qualsiasi direzione, e vedere sempre un viso amico. Ora, quando si gira per distrazione o noia, o semplicemente per sgranchire il corpo seduto da ore, vede i muri della sua stanza e non incontra lo sguardo di nessuno.

Solitudine, ansia, marginalizzazione, paura e isolamento: sono termini che Tommaso usa con naturalezza perché li conosce bene. Racconta di come la DAD abbia creato ancora più divisione tra i compagni: “Da quando ci siamo dovuti isolare si sono creati dei gruppi in classe che hanno reso la vita difficile ai più timidi. Non aver avuto una cerchia di amici stretti prima della pandemia significa profonda solitudine ora perché si tende a vedere solo le persone più fidate. Si pensa che frequentando solo chi si conosce bene si abbiano meno possibilità di contrarre il virus. Se è impossibile fare nuove amicizie però, coltivare quelle già esistenti è altrettanto difficile”.

Poi i problemi di connessione e le ore perse: “Nessuno mi ha mai detto ti spiego e ti aiuto a recuperare le lezioni”, racconta con un tono di sfiducia nel sistema scolastico. “Si tratta di un sistema già di per sé molto individuale e la DAD non ha aiutato affatto: nei lavori di gruppo, quando e se ce li fanno fare, la presenza dell’altro è importantissima. Non è la stessa cosa fare tutto da soli e online. Ad ogni modo, nel sistema scolastico italiano manca l’attenzione verso tutto ciò che riguarda i sentimenti degli studenti”, aggiunge. “Siamo adolescenti e si sa, le emozioni sono fragili”, e poi spiega ancora Tommaso: “Sembra esserci una netta scissione tra l’essere studenti e l’essere persone, e gli studenti spesso sono considerati studenti e basta”.
“Come possono pensare che siamo preparati per l’esame, se la DAD non ci ha permesso di studiare come avremmo dovuto, e ci ha persino tolto la voglia di fare?” si chiede Tommaso. Oggi però, non è solo l’esame di maturità che lo spaventa. Alla domanda “Cosa vuoi fare dopo il liceo?” risponde sconsolato “Non lo so”. Il futuro per lui è un’incognita. La paralisi di questi due anni non gli ha permesso di guardare all’alba del giorno dopo, vincolandolo in una condizione di stasi priva di stimoli e di motivi di orgoglio.
Tommaso, come moltissimi altri ragazzi, è pieno di paure e incertezze. Probabilmente, le stesse di quando aveva 16 anni, perché questi ultimi due è come se non fossero passati mai.

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