Entrare nella mesticheria di Mario è come essere catapultati in un mondo antico, perduto. Un universo di mestoli, tazzine, bicchieri, ciotole, pentole, centinaia di oggetti che riempiono ogni spazio. Così tanti che l’occhio si muove a destra e sinistra senza sosta, da uno scaffale all’altro, a sbirciare in ogni angolo. Un negozio di altri tempi, la mesticheria di Mario Tucci, una delle ultime del centro storico, in via dei Servi, a pochi passi dal Duomo. “Lo sa cosa vuol dire mesticheria? – chiede Mario – Viene dalla parola mesticare, fare i colori. È un termine tutto toscano, si usa solo qua”.
Il 9 febbraio del 1970 ha inizio la storia di questo negozio, “con tanta speranza e tanta buona volontà”. Una storia fatta di sacrifici e passione. “Ho sempre avuto voglia di lavorare per conto mio. Prima lavoravo come sottoposto, poi mi sono rimboccato le maniche e ho deciso di iniziare la mia carriera”.
Ha fatto tanti sacrifici, ma è grazie a questi che è riuscito a fare quello che voleva. “Nella vita bisogna arrangiarsi. Noi ci si accontentava di poco, di quello che ci s’aveva. Facevamo la dieta spontanea: si mangiava quello che c’era”. Nel presente è tutto molto diverso. “Oggi è difficile accontentarsi di poco”. Il presente è difficile, la situazione è cambiata. Mario lo nota per quanto riguarda il suo lavoro, ma non solo. “Nei negozi non c’è più un rapporto umano, prima il negozio era il negozio del chiedere. Ora è diventato il negozio del prendere. La gente non chiede più, perché gli fa fatica.” Nel suo negozio però si deve chiedere. Ci sono 3.800 articoli nella mesticheria di Mario, e senza chiedere non si trova quello che si cerca. “I giovani hanno sempre il telefono, molte volte mi fanno rabbia, perché manca il rapporto, da tutte le parti. Non sono solo i giovani, ci sono anche tanti adulti e anziani che lo fanno.”
I rapporti tra le persone sono cambiati. “Via dei Servi è stata una via di storici, personaggi e negozi. Ho conosciuto tante belle persone. Ci si aiutava, si creavano dei bei rapporti. Ora non succedono più queste cose.” In questi anni ha notato anche quanto Firenze sia cambiata. “Via dei Servi è lunga un chilometro. Prima c’erano solo tre ristoranti, ora è pieno.” È tutto cambiato, dai negozi alle persone. C’erano tanti artigiani prima, “ora la cultura fiorentina non c’è più”. Era facile trovare le cose fatte a mano, adesso invece di artigiani ne sono rimasti pochissimi. “Era la città del fiore, veramente”. In ottant’anni anni ha visto la città cambiare, crescere, l’ha vista superare momenti difficili e festeggiare i momenti più belli. Pure quando Firenze e il mondo sono stati stravolti dal coronavirus, Mario non si è fatto abbattere. Non si è arreso e ha accolto l’idea della figlia di usare internet per far resistere il negozio: ben presto la mesticheria Tucci venderà i propri prodotti anche online. Neanche la pandemia è riuscita a fermare la sua energia, la sua positività, che continua a trasmettere alle persone che gli stanno intorno: familiari, giovani negozianti, clienti. Soprattutto in un periodo come questo, persone come lui sono un tesoro raro e una ricchezza.
Lo scorso febbraio Mario ha festeggiato 50 anni di attività. Dopo tutto questo tempo non rimpiange nulla: “All’inizio è stata dura, ma sono riuscito a fare quello che volevo. Sacrificandomi.” Sveglia alle 5 ogni mattina. Anni in cui ha vissuto alti e bassi. Ma il sacrificio a Mario non è mai pesato. “Dal nulla non viene niente. Sono felice ora, di tutto quello che ho fatto e che sto facendo. Per me stare in negozio è vita, qua mi sento un signore.”
Un mestiere antico, quello del mesticatore. “Oggi resisto perché ancora c’è lavoro. Son soddisfazioni, dopo tutti questi anni. Voglio bene ai miei clienti, sono loro che mi hanno dato da mangiare.” Il segreto di Mario? La passione. “Il nostro lavoro senza passione non si fa. Non sono i soldi, è la passione. Il negozio non si può spiegare, bisogna sentirlo. È come fare da mangiare, se non ci si mette l’amore non viene fuori nulla. E poi bisogna accontentarsi, quello lo dico sempre.” “Per fare un fiume ci vuole due argini, sennò l’acqua va di fuori”. È la frase con cui Mario conclude il suo racconto. Una metafora che usa per descrivere le relazioni. “In che senso?”, gli chiedo. “Nel senso che ci si deve supportare a vicenda. Come abbiamo sempre fatto io e mia moglie, da 50 anni. Proprio come due argini.”