«La mia musica per i bambini del Meyer»

Letizia è una musicista e da dieci anni lavora al Meyer: con il progetto Musica in Corsia, riempie di note e canti l’ospedale pediatrico. E crea una magia che riesce a trasportare i piccoli pazienti fuori dall’ospedale

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Un flauto traverso. E poi violini, viole, tamburi, maracas. E perché no, anche un pennarello picchiettato sul bordo di un letto o uno strumento creato sul momento con quello che si ha a disposizione. Note, filastrocche, ninnenanne, canzoni pop e musiche inventate. No, non siamo in una scuola di musica innovativa. Siamo all’Ospedale Pediatrico Meyer di Firenze. Qui le note di un flauto aiutano un piccolo paziente ad affrontare un fastidioso prelievo di sangue, quelle di un violino ne cullano un altro durante una spaventosa otturazione dal dentista, il ritmo di un tamburo regala un momento di gioia e spensieratezza a un bambino ricoverato. Oppure i versi di una canzone dolce accompagnano una bimba verso la sala operatoria. O ancora, un adolescente ricoverato ha la possibilità di imparare a cantare, a suonare uno strumento o a costruirne uno con le sue mani. “Quando entri in una stanza e inizi a suonare o a cantare i bambini vengono come catturati: la musica li rende più sereni, allenta la tensione, e spesso non si rendono nemmeno conto che il prelievo di cui avevano tanta paura è già finito!” 

Letizia è una musicista dell’Athenaeum Musicale  e da dieci anni lavora al Meyer: con il progetto Musica in Corsia nato in Francia e portato all’ospedale pediatrico grazie alla volontà e al finanziamento dalla Fondazione dell’Ospedale Pediatrico Meyer, lei e altri musicisti professionisti riempiono di note e canti l’ospedale pediatrico, creando una magia che riesce a trasportare i giovani pazienti fuori dall’ospedale. “Ho conosciuto il progetto nel 2002. Ho provato, ma non mi sentivo pronta, avevo sempre paura di sbagliare qualcosa: un camice indossato male, un movimento sbagliato. E così non ho subito preso questa strada”. 

La passione per la musica accompagna Letizia da tutta la vita. “Ero alle elementari quando mi iscrissi al Conservatorio. Mi sembrava un posto così enorme, con quei corridoi immensi e quelle stanze grandissime. Scelsi di studiare pianoforte, inizialmente, ma dopo qualche tempo cambiai idea: ero a lezione quando uno studente entrò in aula e incominciò a suonare il flauto traverso. Me lo ricordo ancora. E da quel giorno è diventato quello il mio strumento.” Dopo essersi diplomata al Conservatorio per anni si è dedicata alla musica da camera e a suonare con le compagnie teatrali. Poi un giorno un’amica le ha parlato di un corso di formazione per lavorare al Meyer come musicista. “Era proprio quello che mi serviva per provare a riprendere quella strada a cui anni prima avevo detto di no. E così ho fatto.” Un corso di formazione di un anno, organizzato dall’Athenaeum Musicale, per prepararsi professionalmente a svolgere un lavoro che è tutt’altro che semplice. “Non smetto mai di imparare, questo lavoro è un mettersi in gioco continuo. Una delle cose più importanti che ho imparato al corso è relazionarsi con i piccoli pazienti e con i loro genitori solo attraverso la musica e non attraverso la parola. Perché la parola ti fa entrare in un’intimità che tu musicista non sei in grado di gestire.” 

I progetti di musica nati dalla stretta collaborazione tra i musicisti  dell’Athenaeum Musicale e la Fondazione Meyer sono tanti e negli anni sono cresciuti e maturati grazie alla collaborazione con medici ed infermieri, ma purtroppo al momento sono stati quasi tutti bloccati dal virus. Il Covid però ha fermato i musicisti solo momentaneamente e da settembre sono tornati ad accompagnare i bambini e i loro genitori nelle lunghe giornate all’ospedale, se pur in maniera diversa. “In alcuni reparti non possiamo più andare e suoniamo solo se i genitori, i medici o gli infermieri ne fanno richiesta.” Spesso sono gli stessi medici e infermieri ad aver bisogno dell’intervento dei musicisti, soprattutto quando devono eseguire manovre ed esami più invasivi. “La nostra è una collaborazione con il personale sanitario: lo scopo del nostro lavoro è rendere l’ambiente più sereno, non solo per i pazienti ma anche per medici e infermieri che se ne occupano. E di solito cantano anche loro insieme a noi.”  Con le mascherine gli strumenti a fiato sono banditi. “Per il momento posso solo usare la mia voce come strumento. Non vedo l’ora di tornare a suonare il flauto, mi manca tanto.”

Tra i progetti fermati dal Covid c’è la scuola di musica per i pazienti nel reparto di oncomatologia: un progetto che permette ai giovani ricoverati di coltivare la loro passione per la musica o di scoprirsi per la prima volta cantanti o musicisti. “Alcuni di loro continuano a studiare musica anche fuori dall’ospedale. È bello sapere di averli aiutati in qualche modo ad affrontare un momento difficile della loro vita. Quando insegni uno strumento è inevitabile usare la parola, affezionarsi. Purtroppo alcuni ragazzi che ho conosciuto non ci sono più. Li ho con me come ricordo, insieme alla consapevolezza di aver conosciuto persone stupende che mi hanno dato tanto, a cui ho cercato di dare del mio. E me li porto nel cuore.”

Ogni bambino ha la sua storia personale, come ogni genitore. Ci sono bambini che vengono subito coinvolti dai canti o dagli strumenti. Letizia entra nella loro stanza, inizia a suonare o a cantare e con naturalezza, senza dare né istruzioni né regole, coinvolge il piccolo paziente e i suoi genitori in un momento di gioco e musica. “C’era una bambina che voleva sempre che le cantassi Tanti auguri a te, ogni giorno dell’anno. Era l’unico modo per farle fare esami e prelievi, senza canzone rifiutava tutto, era impossibile anche visitarla. Poi ovviamente tutti le facevano gli auguri anche se non era il suo compleanno.” 

Altri invece sembrano non volerne sapere della musica, almeno inizialmente. “Mi ricorderò sempre un bambino ricoverato nel reparto TMO, trapianto di midollo. All’inizio non ci voleva nemmeno far entrare nella sua stanza: aveva paura, pensava fossimo dottori! Un giorno scoprii che era un grande fan del palio di Siena. E allora mi feci insegnare tutte le canzoni delle contrade, le conosceva tutte a memoria! Da quel giorno non ci ha più detto di no, ed è diventato più sereno, così come la sua mamma.”

La musica ha il potere di arrivare a tutti, grandi e piccini, indipendentemente da quale lingua parlino. “Come Athenaeum Musicale prima del Covid lavoravamo anche nelle RSA: mi ricordo una signora che passava tutto il giorno con la testa posata sul tavolo, ma quando iniziavamo a suonare lei si alzava e iniziava a cantare a gran voce, felice. Era emozionante vedere come la musica riuscisse a illuminare gli occhi degli anziani allo stesso modo in cui illumina quelli dei bambini al Meyer. La musica è un linguaggio universale.”

Le persone che abitano il Meyer ogni giorno sono tante: neonati, bambini e bambine, adolescenti, mamme, babbi, nonne e nonni. Medici, infermieri, operatori, volontari.  La musica raggiunge e coinvolge ognuno di loro: porta un momento di serenità, di sollievo, di gioia, di gioco e di divertimento, in un luogo in cui tutti ne hanno bisogno. “Un giorno un’infermiera mi abbracciò stretta stretta e mi disse ‘grazie, mi serviva.’ Io avevo semplicemente suonato. È stato bello.”

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