Gabriele, investito da un furgone e vivo per miracolo .
«Oggi sono volontario in ambulanza e salvo le vite degli altri»

Nel 2016, dopo aver cantato in un locale, viene travolto da un veicolo. Si salva miracolosamente e, dopo tanta sofferenza, torna a coltivare i suoi sogni, fino a diventare giornalista sportivo

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Certe volte la vita non ti viene giù esattamente come l’avevi immaginata. Uno fa tanti progetti, si rimpinza la testa di sogni, poi si sorprende a fare i conti con gli sgambetti senza ritegno del fato. Come ti rialzi dipende molto dalla botta. E Gabriele Caldieron, fiorentino di nascita e irrequieto per genetica, di colpi ne ha già dovuti incassare parecchi, a dispetto di una carta d’identità ancora lucida. “Ironico, no? Un istante prima stavo cantando Meraviglioso, di Domenico Modugno. Sul palco di questo noto locale in centro, in via dei Benci, mi disimpegnavo dignitosamente con la versione dei Negramaro. Curioso due volte se mi soffermo sul fatto che io, quel 20 ottobre 2016, di casa non ci dovevo proprio uscire. Venivo da un grosso intervento per ernia ed ero ancora in convalescenza”. Poi, d’un tratto, una boccata d’aria all’esterno del pub. Rumore metallico di freni che sfrigolano sull’asfalto, fitta che spezza il respiro, volo non prenotato vista cemento. Contusioni multiple. Per una manciata d’istanti i polmoni non pompano: sembra finita. Non lo è.

“Dopo la canzone sono uscito per parlare con Simone, un amico che si occupava della sicurezza del locale. Volevo dirgli dei miei progetti di lavoro ora che stavo meglio dopo un lungo calvario. Del mio sogno di fare il giornalista sportivo. Non faccio in tempo. Passa meno di un minuto e un furgone sbanda, travolgendomi. Vengo sbalzato via dal marciapiede, mentre una frotta di passanti grida frasi scomposte. Ricado a terra pesantemente. Respiro, ancora. Sono qui per miracolo. Dopo i ricordi si fanno appannati: il tizio che mi ha investito prova a rialzarmi, ma Simone e gli altri addetti alla sicurezza lo placcano. Qualcuno piange. Se vedi le immagini registrate dalle videocamere, pensi che devo essere morto per forza. Invece no. Ho un piede spezzato in due punti e la schiena, proprio quella, che è un intruglio di dolori lancinanti. Fa talmente male che paradossalmente non sento nulla. Sono tumefatto, distrutto, intorpidito. Ora quelle note mi tornano in mente: dun tratto qualcuno alle mie spalle, forse un angelo vestito da passante…e succede proprio così. Quella sera, infilata in un oceano di sfortuna, c’è una zattera di speranza. Incrocio gli occhi con quelli di una ragazza che mi scruta preoccupata, dall’altro lato della strada. Ancora non posso saperlo, ma è un medico. Mi presterà i primi soccorsi, ordinandomi di non muovermi. Poi sento le sirene in lontananza. I volontari mi portano di corsa in ospedale, dove sopraggiungono amici e genitori.

Esco da lì con un gesso gigante e una diagnosi poco confortante. Non me lo spiego, perché sia successo ancora a me. Ho soltanto vent’anni, Cristo. Passo trenta giorni completamente immobilizzato a letto. Le mie passioni sfumano di nuovo: giornalismo, calcio, musica e tutto il resto. Velleità che si dissolvono come burro fuso. Sono più distrutto dentro che fuori. Non dormo più, perché non ce la faccio a rimandare ancora i miei progetti. Dopo ottantacinque giorni di convalescenza mi arriva una raccomandata. Mi sto rialzando, ma questa è un’altra mazzata. La lettera riporta quattro cifre precise: 6.738 euro. Ecco il valore attribuito alla mia vita. Mi deprimo ancora di più e avanzo barcollando dentro giornate infinite e prive di senso”. Qui si consuma l’incantesimo. Qui il gioco di prestigio esce bene, per una volta. Gabriele ha rimbalzato sul fondo e ora comincia una lenta risalita. Il dolore immagazzinato diventa un punto di rottura. La vita e il tempo assumono un altro significato. Le cose bisogna aiutarsi a farle succedere.

“Ero affranto, davvero. Poi un giorno ripenso a quel testo. A quegli occhi. Al tutto ancora da fare. Questo dribbling mi deve riuscire. L’affaccio sullo sprofondo mi restituisce una nuova carica. Quell’incidente mi passa la spinta per cominciare ad essere la versione più vera di me. Quello a cui non avevo mai avuto il coraggio di dare del ‘tu’. Inizio a collaborare con giornali e tv. Fondo insieme ad alcuni amici una mia testata. Divento addetto stampa di importanti società sportive locali. La distanza dai miei sogni si accorcia senza sosta. Apro anche un mio canale youtube e una società che si occupa di comunicazione sportiva.

Però non dimentico. Sento che mi è stata data un’altra chance e che è il momento di restituire qualcosa. Mi iscrivo ad un’associazione di volontariato locale: da allora presto servizio in ambulanza. Faccio quasi duecento interventi. Salviamo delle vite e penso che sia una delle cose più vicine di sempre alla felicità. Spero sempre di incrociare di nuovo quegli occhi durante il servizio, ma per ora non ho avuto fortuna. Magari ci legge. Magari qualcuno che è ancora indeciso decide di dare una mano ai volontari, persone sincere che si spendono per gli altri senza risparmiarsi.  I dolori non sono scomparsi. Le suture per l’anima non le hanno ancora brevettate. Però mi sento vivo, di nuovo. La vita è ancora un posto meraviglioso.
Oggi Gabriele Caldieron è un giornalista, presidente di goalist.it, Telecronista per Toscana Tv nella trasmissione “A tutto gol”e addetto stampa della Rondinella Marzocco.

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