Fabrizio, il pellettiere diventato fotoreporter

È il responsabile dello storico Studio Fotografico Torrini, nella centralissima via Condotta, oltre tre milioni di immagini, numerosi libri fotografici, negli anni ha lavorato per l'Agenzia Giornalistica Italia, l'Associated Press, la United Press International e per le principali testate giornalistiche fiorentine e italiana

Condividi questa storia su:

Condividi su facebook
Condividi su twitter
Condividi su linkedin
Condividi su whatsapp

Probabilmente è l’unico bianco e nero che piace ai fiorentini. Due colori agli estremi, ma che hanno saputo unire le tante facce di Firenze, gli angoli più sperduti, i monumenti e i palazzi storici, personalità famose nel mondo e sguardi popolari nei quartieri.
Entrando è come salire sulla macchina del tempo, delicatamente ti porta a sentirti un giovane degli anni Cinquanta o Sessanta, ti senti un fornaio di San Frediano, o un personaggio celebre, come Charlie Chaplin, o Robert Kennedy, lo scià di Persia Reza Pahlavi, Elisabeth Taylor o la divina Sofia Loren, tutti in visita a Firenze. Negli scaffali del “retrobottega”, sono migliaia le foto custodite, da tempo è in atto la digitalizzazione delle stesse, un lungo lavoro, che naturalmente mira a proteggere questo immenso patrimonio.

È lo storico Studio Fotografico Torrini, nella centralissima via Condotta, oltre tre milioni di immagini, numerosi libri fotografici, negli anni ha lavorato per l’Agenzia Giornalistica Italia, l’Associated Press, la United Press International e per le principali testate giornalistiche fiorentine e italiana.

A tenere sotto occhio tutto questo ben di Dio è Fabrizio Giovannozzi. Da giovane faceva il pellettiere all’Isolotto, ma la sua grande passione da sempre è stata la fotografia: «Mi comprai la prima macchina fotografica, una Canon AT1, poi iniziai a svilupparmi le foto da solo, leggevo libri, guardavo riviste, soprattutto di fotografie, siamo agli inizi degli anni Ottanta, da Torrini sono entrato nel 1987, ho iniziato a fare il fotografo per hobby, poi piano piano è diventato un lavoro». Come tutte le passioni della vita, quando ti prendono non ti lasciano più. «Ricordo che ho iniziato a lavorare per la rivista Calciopiù, nei campi di periferia. Erano proprio altri tempi. Poi conobbi Massino Sestini, mi prese con lui a lavorare alla Città (quotidiano fiorentino in edicola dall’aprile 1980, poi chiuso n.d.r.), poi sono passato all’agenzia Torrini». Il suo è un racconto che incuriosisce sempre di più. Quasi come una favola si aspetta il finale, che per fortuna però ancora non c’è.

Naturalmente nella sua professione non sono mancati scatti particolari. Era il 5 settembre 1993 e a Firenze venne in visita ufficiale l’imperatore del Giappone Akihito con sua moglie Michiko, un soggiorno blindato, con un protocollo rigidissimo, per esempio, non indietreggiare mai di fronte a sua altezza imperiale, né rivolgere la parola, praticamente impossibile mettergli il microfono sotto il naso, del resto suo nonno, l’imperatore Hirohito, in Giappone era considerato una divinità, un adagio lirico consiglia di scherzare con i fanti, ma mai con i santi. Fabrizio invece osò. «Come fotografi eravamo divisi in pool per motivi di sicurezza, quindi dentro a San Marco, dove la coppia imperiale era andata per vedere il Beato Angelico, toccava a me fare le foto, poi venivano distribuite a tutti, chiaramente l’immagine che dovevo fare era l’imperatore mentre guardava il Beato Angelico, lui era distante e io mi azzardai a dire “scusi imperatore, si metta accanto, non capivo cosa avessi fatto, rimasero tutti impietriti, ero giovane, il mio obiettivo era fare una bella fotografia, lo misi accanto al dipinto, lui si prestò tranquillamente, feci la foto, mentre la scorta e i giapponesi intorno, erano ancora stupefatti».

E ancora: «Poi volevo fare una foto a Madonna mentre faceva footing e le sue guardie del corpo mi minacciarono di buttarmi giù dal ponte». Insomma, piccoli inconvenienti, per alcuni aspetti paradossali per chi fa il lavoro di Fabrizio. Ma il suo rapporto con la fotografia è un filo ininterrotto, fatto di emozioni, tristezza e desolazione, per esempio nel periodo del lockdown, con le strade vuote, gli sguardi persi e impauriti di chi si avventurava fuori casa. «Una angoscia così forte, che mi ha riportato indietro negli anni, penso alla strage dei Georgofili. Naturalmente ora i motivi sono diversi, ma vedere Firenze così vuota, vederla così ti prendeva male» racconta Fabrizio, titolare, insieme a suo figlio Niccolò, dello storico Studio Torrini, dopo la prematura scomparsa del suo socio, amico e collega Francesco Bellini: «Siamo stati insieme dagli anni Novanta».

Una scelta fondamentale per non disperdere tutto quanto fatto negli anni dall’agenzia Foto Torrini, fondata nel 1944 da Giulio Torrini, poi diventata Torrini Fotogiornalismo. «Io preferisco fotografare Firenze nella sua naturalezza, gli spazi vuoti è vero che ti fanno notare di più la bellezza della città, ma il silenzio paradossalmente ti distrae, vedere tutte queste opere d’arte sole faceva tristezza, era la prima volta che le vedevo in questa maniera, quando vedevo una persona in in piazza Signoria, toccavo con mano il senso del vuoto» dice Fabrizio. Che bella cosa sono le belle emozioni, come tutte le cose belle ti accorgi che mancano quando non ci sono. «Sto mettendo in ordine le foto di archivio, tutte con gente in movimento, guardandole mi sono reso conto dell’angoscia, probabilmente preoccupato anche dalle conseguenze commerciali, dai disastri che questo virus ha combinato». Ed è proprio per cercare di trovare un salvagente che lo Studio Fotografico Torrini ha attivato la vendita tramite l’ecommerce  (wwwtorrinifotogiornalismo.it) sui social come Instagram (fototorrinifirenze). E il materiale non manca.

Condividi questa storia su:

Condividi su facebook
Condividi su twitter
Condividi su linkedin
Condividi su whatsapp

Rimani Aggiornato