Lucia Montuschi è una fiorentina doc: “Mio babbo Paolo era figlio unico di nonna Angela che, nel 1939, divenne ragazza madre e lo allevò da sola lavorando come operaia al Pignone. Lui fece L’ITI, imparò a lavorare sui circuiti elettronici e lo presero all’IBM come perito tecnico. Mia mamma Giovanna, invece, è cresciuta in San Frediano insieme a nonno Oreste, che aveva una bottega da intagliatore, nonna Ida, che faceva la magliaia, e i suoi sei fratelli. Iniziò giovanissima a lavorare alla Manifattura Tabacchi come sigaraia e conobbe mio padre in Via Benedetto Dei, dove, dopo la guerra, era stata attribuita una casa popolare ad entrambe le famiglie”.
Fin da piccola viaggia con la sua famiglia alla scoperta di città, paesi e musei, scoprendo il fascino dell’arte: “Il babbo viaggiava spesso per lavoro e ci portava con sé per visitare le città. Nonostante provenissi da un’estrazione sociale semplice, i miei genitori e la mia famiglia mi hanno sempre dimostrato molta sensibilità per la bellezza e per le emozioni; mi hanno sempre parlato di arte e musica, e mi hanno portata a vedere i musei. Mi ricordo ancora la prima volta che andammo al Louvre perché mio babbo voleva vedere la Gioconda ed io rimasi folgorata dalla Nike di Samotracia”.
L’emozione provata di fronte alla Nike crescerà insieme alla piccola Lucia diventando una parte fondamentale della sua vita: “Quando andavo al liceo scientifico di Sesto, la prof Donati di italiano si mise in contatto con gli Uffizi e ci portò due grandi storiche dell’arte a farci un corso sull’arte del Novecento. Qualcosa fece click dentro di me. Mi iscrissi a Storia dell’Arte, in Via della Pergola. Era un’università straordinaria fatta di grandi nomi, ma anche un luogo dove bisognava mettere impegno, tempo e soldi, perché, come diceva la prof Mina Gregori, “l’arte va vista, non si studia sui libri”. Iniziai a viaggiare a mie spese, in lungo e in largo, per vedere le opere”.
Durante l’università la selezionano per lavorare nella sezione didattica degli Uffizi: “A quei tempi, storia dell’arte era una materia per nobili fiorentini e per figli di direttori di musei. Io arrivavo completamente da un altro mondo, ma scoprii che l’educazione dei miei genitori e la voglia di imparare mi aiutavano moltissimo. Durante il terzo anno, nell’87, si presentò la direttrice della sezione didattica degli Uffizi, fondata negli anni ’70 grazie alle donne colte fiorentine, in cerca di studenti che coinvolgessero i bambini con visite ai musei statali legate ai programmi scolastici; allora era una vera novità, quella degli Uffizi fu una delle primissime sezioni didattiche in Italia. Io feci il colloquio, lo passai, e da allora non ne sono più uscita. Dentro gli Uffizi sono cresciuta, così come dentro tutti i musei della città, studiando con impegno e camminando ogni giorno per le vie di Firenze, e questa passione mi ha sempre ripagato. In ultimo, durante il lockdown, quando tutto era fermo, e il dipartimento per l’educazione delle Gallerie degli Uffizi mi ha chiamata per entrare nelle classi dei ragazzi con un progetto video. Mi sono commossa moltissimo”.
Il sentimento viscerale che lega Lucia a questa città e alle sue opere, le sue radici, l’entusiasmo che la contraddistingue, e la sua capacità di trasmettere emozioni parlando di arte, l’hanno portata ad aprire una sua agenzia e l’hanno resa una delle guide più rinomate e ricercate di Firenze che con orgoglio condivide ogni giorno la bellezza di questa città diventandone ambasciatrice, e un’educatrice capace di coinvolgere centinaia di ragazzi rimanendo sempre un po’ quella bambina incantata di fronte alla Nike di Samotracia.