Simcha, il burattinaio ristoratore che va controcorrente

La storia del gestore del ristorante casher (cioè conforme alle regole ebraiche) accanto alla sinagoga. Il suo primo amore sono i burattini, un'arte sacra nel suo Paese d'origine

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“Mi dispiace, ma il mondo digitale modello Amazon non fa per me. Prima del Covid talvolta me ne servivo. Adesso ho smesso. È la mia forma di protesta contro una pratica che rischia di impoverirci nell’anima”.
Se c’è una cosa che Simcha adora fare è andare controcorrente. Niente di nuovo, sorride sornione, “è un po’ una specialità dell’ebraismo”. L’accento tradisce subito un’origine orientale.
Tomas Jelinek, così è registrato all’anagrafe, nasce infatti a Ceska Lipa, nell’allora Cecoslovacchia, nel 1956. La regione è quella dei Sudeti, nota anche per essere stata, con l’annessione del ’38, uno dei primi laboratori dell’espansionismo e della violenza nazista.

Da quarant’anni esatti Simcha vive tra Greve in Chianti e Firenze, dove gestisce il ristorante casher (cioè conforme alle regole ebraiche) accanto alla sinagoga. Tra una cartolina con Kafka e una veduta di Praga, si respira un po’ di Mitteleuropa. In evidenza in bacheca c’è anche una foto con lo scrittore israeliano David Grossman.  Il suo primo amore sono i burattini, un’arte sacra nel suo Paese d’origine. “Ancora oggi, quando possibile, faccio degli spettacoli. L’ultimo – racconta – è stato per il Giorno della Memoria”.

È però un’attività collaterale rispetto a quella del ristorante, che all’occorrenza funge anche da mensa comunitaria. Simcha guarda sconsolato la strada. “I nostri clienti tradizionali sono sempre stati turisti e studenti. Con la loro assenza, quasi totale, tutto diventa più difficile. I pasti da asporto, ad esempio, si contano sulle dita di una mano”. A preoccuparlo non è però soltanto la situazione contingente: “Cerco di guardare oltre e vedo un mondo che non mi piace. Dove le tecnologie, sempre più pervasive, rischiano di diventare una sorta di grande idolo. E in cui l’uomo, che se ne crede il padrone, ne è invece lo schiavo”.

Simcha, col suo volto espressivo, mima la sensazione angosciante dell’assenza di ossigeno. Per il burattinaio-ristoratore non c’è cura migliore di una boccata d’aria in uno degli spazi più veraci di Firenze: il mercato di Sant’Ambrogio. “Per nulla al mondo – afferma – potrei rinunciare ad acquistare, di persona, i beni e i prodotti di cui ho bisogno. Anche a costo di fare lunghe file, di ‘perdere’ per strada minuti che in rete potrei impiegare in modo, in apparenza, più pragmatico. Il computer non parla però con me in vernacolo. Non mi si concede in tutta quella potenza di colori, odori, sapori”. Le emozioni, aggiunge Jelinek, sono tutto. Con la mente, sfogliando un vecchio album di foto, torna agli anni della gioventù. Un periodo difficile, ma permeato anche di coraggio e idealismo. Come la scelta di aderire a Charta ’77, perno del dissenso cecoslovacco, al fianco tra gli altri di Václav Havel. Si emoziona: “Di avventure me ne sono capitate tante. Come quando, nei boschi al confine con la Polonia, incontravamo di nascosto i giovani di Solidarność. Con niente si poteva finire in carcere. Ma noi combattevamo la battaglia più giusta: quella per la libertà”.

 

 

 

 

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