“Noi non si dice andare in centro, noi si dice andare a Firenze”. Filippo Marinai è un vero galluzzino. Nato e cresciuto in Via del Podestà, tra botteghe, alimentari, macellerie e mesticherie, la realtà di quartiere, anzi di paese che si respira al Galluzzo (e alle Due Strade), lo ha formato. “Oggi è tutto cambiato, gli artigiani e i mestieri di bottega stanno piano piano scomparendo, non sono stati tutelati a dovere. Quando io avevo vent’anni si riusciva ancora a sognare di mantenere una famiglia con un mestiere di bottega che qualcuno ti insegnava. Io feci così. Dopo aver studiato lingue e aver detto a mio babbo che non avrei seguito le sue orme di rappresentante nel mondo delle calzature, ho chiamato due amici, uno incassatore di pietre e l’altro decoratore e gli ho chiesto: “mi insegnate a fare qualcosa?” Mi dissero: “Vieni quando vuoi, vedi se ti piace”. Così andai, presi per la prima volta dei pennelli in mano e iniziai ad imparare a decorare nella bottega del maestro Pierluigi Caldini qui al Galluzzo, dove vi lavoravano già suo figlio, suo nipote ed altri ragazzi, oltre a lavoratori occasionali che andavano e venivano, un gran via vai! Gigi Caldini aveva imparato il mestiere lavorando presso la ditta Bartolozzi e Maioli in Piazza della Passera; la sua era una bottega storica. I ragazzi andavano, imparavano e aprivano il loro laboratorio, come ho fatto io. Poi nel tempo molte cose sono cambiate, i segreti artigiani non sono stati protetti e valorizzati, e come succede con tutti i segreti, se non vengono passati muoiono con chi li custodiva”.
Filippo, in società con altri decoratori, lavora 20 anni nella sua bottega di decorazioni, poi decide di andare a fare il suo mestiere, sempre come artigiano, presso una grossa azienda. “Le cose andavano bene, era più semplice essere un dipendente, ma dopo qualche anno, diciamo, sono entrato in crisi. Ormai avevo quasi cinquant’anni, iniziavo a guardarmi indietro, a fare dei bilanci. Io ero cresciuto guardando i maestri in bottega che creavano e donavano la loro arte alla produzione di un manufatto. Tutto questo l’avevo perso, ormai mi sentivo omologato, alienato, passavo le giornate chiuso in una cabina di verniciatura, senza parlare con nessuno, non c’era passione in quello che facevo. Non riuscivo a dare un valore emotivo al lavoro che svolgevo. Quando hai una tavolozza infinita di colori, di materiali, di tecniche, come fai a ripetere tutto sempre uguale? Non vedevo via d’uscita e quindi ho deciso che avrei fatto altro nel futuro”.
Così Filippo deciso ad abbandonare il “posto sicuro” si ricorda del suo sogno nel cassetto di quando era bambino: quello di avere un negozio di ferramenta pieno di piccoli arnesi, prodotti, strumenti, dove la gente del quartiere va in cerca di soluzioni e di assistenza. “Ho iniziato a cercare un fondo vicino a casa, desideravo abbandonare lo stress della macchina e tornare a camminare per andare al lavoro. Vidi questo negozio in vendita, proprio qui, in Via Senese davanti all’imbocco di Via del Podestà. Un negozio che conoscevo da quando ero piccolo, era l’elettricista de Le Due Strade che vendeva elettrodomestici a tutti quando ancora non c’era la grande distribuzione. Mi è apparsa quest’occasione quasi sull’uscio di casa, e non volevo veder passare un altro treno. E quindi mi sono buttato in questa follia e l’ho comprato”.
Quando Filippo compra (a fatica) il fondo per la sua ferramenta, lui di ferramenta e gestione di un negozio non sa assolutamente niente. I tempi che corrono remano fortemente contro queste attività. Non ha alcuna sicurezza e non sa da dove iniziare. “Molti avranno pensato che ero un pazzo. Il 16 luglio 2019 per la prima volta sbucai da Via del Podestà con le chiavi di questo negozio, ancora tutto da sistemare, in mano. Guardando l’insegna pensai: “E ora?”. Ero spaventato, inesperto, andavo dagli altri ferramenta a chiedere consigli, a guardare i negozi. La prima volta che entrò una signora per fare una chiave gliela feci al contrario… il negozio era semivuoto e i soldi per riempirlo erano finiti. Sono stati mesi molto difficili, avevo la sensazione di aver sbagliato tutto. Poi, dopo neanche un anno col negozio aperto con risultati modesti e poche opzioni all’orizzonte, è arrivato il Covid. Quello che per moltissimi è stato un arresto, per me è stato il contrario. Le persone hanno riscoperto il negozio sotto casa e la dimensione rionale. Ho iniziato a dare forma ad un negozio ferramenta – mesticheria – casalingo con prodotti di ogni genere, e a riempire il magazzino. I clienti hanno iniziato a conoscermi, a fidarsi, a preferirmi quando è possibile all’ordine online o al grosso supermercato. Ancora faccio errori, ogni giorno ne imparo una nuova e passo la mia vita qua dentro, è tutto fuorché facile di questi tempi, ma spero di mandare avanti questa attività al meglio. Per adesso posso dire di non aver rimpianti e di aver coronato gran parte del mio sogno: il ferramenta, o come mi chiamano qua “il mesticatore”, nel mio quartiere, al servizio delle persone. Perché il tessuto sociale dei posti lo fanno le attività, chi i posti li vive, li conosce e a costo di scommetterci la vita ci investe”.