Gianluca, al confine Polonia-Ucraina con le Misericordie
«Ho preso ferie e sono partito, lo rifarei cento volte»

Il racconto sul campo del volontario: "A 29 anni pensavo di averne già viste tante, per via dei compiti che svolgo. Questa però è tutta un’altra cosa. Questa è una sveglia ed uno schiaffo che non ha mai fatto così male. Mai provato sensazioni tanto discordanti. Mi sento felicissimo e devastato allo stesso tempo”

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C’è una lingua di cemento che congiunge il villaggio di Dorohusk, popolato da 517 anime, all’avamposto di Yahodyn. Quel braccio che solca le acque di un fiume sinuoso rappresenta da sempre la frontiera tra la Polonia orientale e l’Ucraina. D’un tratto avresti cambiato paese senza nemmeno accorgertene. Questo però era tempo fa. Adesso quel lembo rappresenta molto di più. Su entrambe le sponde campeggiano i rispettivi sistemi di filtraggio. La processione di donne e bambini che fluttua inesorabile verso l’hotspot polacco è una spina conficcata in mezzo al cuore. Un esodo che trascende l’umana sopportazione. Gli sportelli che si chiudono. Gli abbracci interrotti bruscamente. Centinaia di uomini che fanno marcia indietro. Frotte di piccoli che avanzano per inerzia verso i volontari, al fianco di madri che cercano dignitosamente di tenersi appiccicate insieme. Non puoi capirlo davvero, se non lo vedi con i tuoi occhi. E Gianluca Pantano questo ha deciso di fare.
“Sono un dipendente del coordinamento Misericordie dell’area fiorentina, e un volontario. A ventinove anni pensavo di averne già viste tante, per via dei compiti che svolgo. Questa però è tutta un’altra cosa. Questa è una sveglia ed uno schiaffo che non ha mai fatto così male. Mai provato sensazioni tanto discordanti. Mi sento felicissimo e devastato allo stesso tempo”.

Romano di nascita, da quindici anni adottato da Firenze, una casa in casa in piazza Beccaria, Gianluca adesso vede le cose da tutt’altra prospettiva. “Il Covid ci ha inferto un duro colpo negli ultimi due anni, ma non è nemmeno lontanamente paragonabile alla guerra. Quando vivi certe cose ti rendi conto di quanto siamo fortunati da questa parte del mondo. Il conflitto alle porte impone di rivalutare nel profondo le proprie priorità. Tendiamo a prendercela per eventi e situazioni quotidiane che, al confronto, fanno ridere. Mi sono chiesto dove avessi vissuto finora. Sono sempre stato poco disinvolto con le parole. Me la cavo meglio con le azioni. Così sono partito”. I telefoni trillano. Le Misericordie fiorentine si accordano con il Consolato ucraino.  Si allestisce in fretta un convoglio di mezzi che trasportano viveri, abiti, coperte calde e materiale sanitario. Su uno di quei furgoni c’è anche Gianluca. “Siamo partiti giovedì scorso (3 marzo, ndr) per arrivare, stremati, dopo venti ore di viaggio. Abbiamo attraversato l’Austria, la Repubblica Ceca e la Polonia. Volevamo entrare in Ucraina, ma ci hanno chiesto di fermarci al confine. I colori della Misericordia (giallo e blu, come la bandiera dello stato dove infuria il conflitto), ci hanno spiegato, non aiutavano”. Così i nove mezzi partiti da Firenze cominciano a scaricare nell’Hub allestito sulla sponda del fiume. Da qui partono gli aiuti destinati a irrorare di speranza la parte più a est del paese, quella messa a ferro e fuoco dai russi.

“Ripartirei domani – confessa Gianluca – perché anche se le condizioni non sono state facili, ho conosciuto persone straordinarie. I primi sono stati i miei compagni di viaggio. Poi i ragazzi ucraini che rimpinzavano i tir: sensazionali. Tutti tra i venti e i quarant’anni al massimo, maschi e femmine, pronti a dormire per terra con un freddo che ti lavora le ossa. Quando gli abbiamo chiesto se avessero bisogno di brande hanno scosso la testa. Prima pensiamo ai nostri fratelli e sorelle, hanno risposto. Un esempio formidabile”. Poi ci sono loro, le persone portate via dall’orrore. Perché il convoglio arrivato carico di merci è ripartito colmo di anime smarrite. Ventisei, per l’esattezza. “Non dimenticherò mai – ora la voce di Gianluca si crepa e si flette in più punti – il ‘grazie mille’ che mi ha riservato una bambina dolcissima. L’ho baciata e abbracciata. Avrei voluto raccontarle che va tutto bene e che non succederà più. In questi momenti ti senti impotente, frustrato. Nel viaggio di ritorno, quando l’adrenalina cominciava a scendere, sono scoppiato. Ho pianto diverse volte al volante e mi succede ancora. Nessuna guerra ha senso: questi esseri umani, nostri vicini di casa, erano distrutti. Hanno perso ogni cosa e questo non è concepibile”.

Riluttante a spegnersi, in mezzo a pozze di dolore diffuso spunta però un motivo di speranza: “La solidarietà che ho visto in giro, al confine, è commovente. C’erano decine di associazioni come la nostra, ma anche privati cittadini giunti dalla vicina Germania e non soltanto. C’è chi presta il telefono, chi assicura una connessione internet. Qualcun altro allunga una coca cola o prepara un caffè. Segnali come questi mi fanno capire che forse non è tutto compromesso”. Gli accordi con il Consolato erano per il trasporto di 23 persone che avevano legami in Italia ai quali ricongiungersi, ma una volta arrivati sul posto sono spuntati profughi (una parola che fa storcere il naso a Gianluca) che non avevano più alcun appiglio. “Una di loro, una giovane donna dall’aspetto emaciato, ci ha raccontato che quando è deflagrata la guerra si trovava fuori dal paese. Ha provato a rientrare per raggiungere la madre a Kiev, ma è stato impossibile. Non aveva altri legami in Ucraina, ma voleva rimanere lì. Con la morte nel cuore ha deciso di salire a bordo con noi, per mettersi in salvo e scrivere un futuro diverso”. Le bombe a grappolo e i razzi non sfilavano così lontani, ma Gianluca non si è mai sentito realmente in pericolo. “Pensavo ai miei familiari a casa, è chiaro, ma poi mi focalizzavo sulla missione. Mia mamma era preoccupata, come mio babbo e mio fratello. Ma sanno come sono fatto. Mi sono preso qualche giorno di ferie e sono partito, senza esitazioni. Adesso quelle persone sono tutte al sicuro, mentre noi stiamo organizzando una seconda spedizione. Spero che questa testimonianza ispiri tanta gente a dare una mano: non ce n’è mai stato così bisogno”.

 

 

 

 

 

 

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