«Il mio torrente senza più acqua.
E le mie giornate a salvare pesci boccheggianti»

Graziano è cresciuto facendo il bagno nelle acque del fiume Resco che oggi sta diventando secco: "Pozzi, pompe e briglie negli ultimi anni hanno prosciugato completamente le sue acque"

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“Io accanto a quel torrente ci sono nato. C’erano cascate, pesci, acqua a volontà. Non c’era reggellese che d’estate non venisse su per fare il bagno. Oggi di tutto questo non esiste più niente”. Graziano Fabbri è il proprietario dell’agriturismo Lavana, in mezzo alla foresta di Sant’Antonio, sopra Reggello e poco sotto Vallombrosa: “Di mestiere faccio il giardiniere – racconta – con la mia famiglia ho vissuto anche giù in paese, ma il mio cuore è sempre rimasto qui, in questa foresta. Per questo vederla ridotta così mi lascia una ferita nel cuore. Sono anni che, soprattutto d’estate, il Resco è completamente in secca, sono anni che denuncio la cosa e chiedo spiegazioni. Ma ancora nessuno ha risolto niente”.
Il torrente Resco – un affluente dell’Arno che nasce a 1537 metri da Poggio Uomo di Sasso, una delle montagne della catena del Pratomagno – è conosciuto per la pulizia e freschezza delle sue acque e ospita anche specie protette, come il gambero di fiume italiano. Scende dalla foresta di Sant’Antonio e arriva fino a Reggello.

Secondo Graziano, pozzi, pompe e molte briglie messe in funzione negli ultimi anni però hanno prosciugato completamente le sue acque: “Questo sfruttamento esagerato sta comportando notevole stress ambientale – dice ancora Graziano – con la mia compagna non so quante giornate abbiamo passato nel tentativo di salvare pesci boccheggianti. Ne abbiamo visti morti a centinaia, quelli ancora vivi li prendevamo e li portavamo a monte, sperando di trovare acqua sufficiente. Spesso però è stato inutile. Da quando i pozzi prosciugano tutto sono arrivate le zanzare e son spariti gli animali che venivano a bere. Ultimamente poi la cosa è ancora peggiorata, da agosto c’è un’altra pompa che porta via quel poco d’acqua che era rimasta. I clienti dell’agriturismo mi chiedono cosa sia successo al fiume, io cerco di spiegare, ma spesso gli stranieri non capiscono. Perché da loro tutto questo non sarebbe mai potuto succedere”.

Negli anni Graziano ha scritto a Publiacqua, la proprietaria dei pozzi, ha parlato con la Regione, il Comune. E ora, grazie all’aiuto delle guide ambientali che lavorano sul territorio, ha deciso di riportare il caso Resco al centro dell’attenzione. Per lui, oltreché una questione economica (“Non nascondo che sia un danno, il mio agriturismo senza acqua nel torrente, è diventato triste”), è una questione di principio: “Hanno trivellato senza nessun tipo di controllo o tutela. La legge è chiara: si può naturalmente sfruttare l’acqua per destinarla alle persone, ma si deve garantire la vita del fiume. E questo non è stato fatto. La Regione dice che la colpa è della siccità estiva, ma la realtà è un’altra. Ho 55 anni e finché non hanno iniziato a pompare acqua, il torrente è sempre stato pieno. C’era la fila per fare il bagno, ricordo che addirittura a Ponte a Enna, a valle, c’era perfino un vivaio di trote. Ora al massimo ci posso raccogliere i sassi”.

Graziano racconta di aver fatto molti sopralluoghi e di aver scoperto metri e metri di tubi, collettori, serbatoi, sbarramenti e perfino cementificazioni. “In queste montagne ci sono centinaia di sorgenti e borri, ma nessuno di loro arriva fino al Resco. O anche se ci arriva viene fermato dalle piccole dighe che si trovano lungo il letto del fiume: basta fare due passi dentro il bosco per capire quello che sta succedendo qua. Si trovano tubi legati agli alberi, grate rugginose. E’ il trionfo dell’incuria, in quello che dovrebbe essere invece un posto da rispettare, tutelare e valorizzare. Per questo voglio continuare la mia battaglia per riavere il Resco com’era prima. Lo devo alla mia famiglia, a mia figlia Angelica, che ha 14 anni e che vorrebbe vivere quello che ho vissuto alla sua età, a quello che rappresenta per noi l’agriturismo e alla foresta che mi ha visto crescere. Dico di più: l’unico rammarico che ho è non aver denunciato tutto ai carabinieri. Dovevo farlo subito, quando vennero a trivellare il mio terreno per farci un pozzo, il primo e il più grande della zona. Provai a protestare e mi sentii rispondere: se vuoi, ci vediamo al Tar. Pensai a quanti soldi avrei dovuto spendere, a quanto avrei dovuto aspettare per avere giustizia. Ma ora che il mio torrente non c’è più, mi pento di non averli trascinati tutti in tribunale”.

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