Peppe, in giro per Firenze col carro funebre.
«La morte fa parte della vita, così la esorcizzo»

Tra le strade di Firenze si vede, a volte nel traffico o parcheggiata, una macchina particolare che attira l’attenzione dei passanti. E’ il carro funebre di Peppe Vetrano: «Sono appassionato di questa macchina»

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Tra le strade di Firenze si vede, a volte nel traffico o parcheggiata, una macchina particolare che attira l’attenzione dei passanti: c’è chi si chiede se sia lì per figura o per scherzo, c’è chi ne ride e chi pensa, invece, che sia la cosa più bella che si può trovare per caso in una strada fiorentina. Ecco la macchina di Peppe Vetrano, giovane cuoco pugliese che vive a Firenze: un carro funebre d’epoca addobbato come morte vuole. Ed il carro sì, è proprio la sua macchina. “Sono un’amante delle auto d’epoca e della musica Heavy metal. Da queste due passioni è nata la ricerca di quella che è per me l’idea di macchina perfetta: un carro funebre d’epoca. Dopo anni di appassionata ricerca l’ho trovato, sono andato a prenderlo fino in Basilicata. Quando mi sono messo per la prima volta al volante di questo carro ho sentito qualcosa di forte e ho pensato che sarebbe stata la mia macchina, il mio compagno di avventure. In molti me lo chiedono per fare foto o girare video, o ancora per eventi ma io spesso sono troppo protettivo e non lo voglio lasciare.  Questa è davvero la mia macchina definitiva, è parte di me, è come se fosse una mia estensione. Lo guardo con quello sguardo con cui si guardano le cose importanti”.

L’amore per i carri funebri di Peppe ha però radici più lontane. Nasce quando è bambino, senza sapere bene perché: “Ho sempre avuto il sogno di guidare un carro funebre”. Un sogno particolare per un bambino e inconcepibile per il paesino pugliese in cui è nato (in cui la morte si nominava a fatica). Un sogno che è oggi realtà e parte di ogni giorno. Quando Peppe gira per Firenze inizia il suo divertimento. Quello che per tanti è un momento noioso, come un semaforo rosso nel traffico, per lui si trasforma in un’avventura. Sguardi stupiti, toccate e scongiuri, risate, domande, complimenti e persone che fotografano il suo mezzo affollano le sue giornate: “E’ come essere sempre al luna park, succede sempre qualcosa quando sono in giro, è bello vedere l’interesse che suscita la mia macchina. La mia vita col carro è normale, faccio cose normali: vado a lavoro, torno a casa, viaggio, qualche volta accompagno i miei amici a comprare i mobili all’Ikea o ai mercatini dell’antiquariato: ci sta dentro tutto, anche le poltrone”.

“In Italia fa ancora strano vedere un carro funebre come macchina, siamo ancora in pochissimi a guidarli, ma negli Stati Uniti è molto diffuso come fenomeno: ci sono raduni di persone che li guidano e spesso sono legati alla cultura goth ma io non voglio etichettarmi in nessun modo, il mio non è vivere un cliché o uno stereotipo; c’è molto di più, è una passione, è una ricerca; mi reputo il custode di questo mezzo, per me significa aver cura di qualcosa di bello del passato. Il mio carro sarebbe finito sicuramente allo sfasciacarrozze se non l’avessi recuperato. Per la scelta particolare del mio mezzo la gente crede che sia un folle; qualche rotella mi manca certo, come a tutti, ma spesso ci sono tanti pregiudizi per questo. Mi sono sentito dare del pazzo, del tossico ma a me non interessa il giudizio delle persone, non vado in giro su un carro funebre per fare sfoggio di qualcosa o di me ma perché mi piace e mi dà gioia, è la mia passione. A Firenze la maggior parte della gente ha accolto me e il mio carro con tanto affetto e calore. Faccio parte anche di un archivio di auto storiche e all’inizio pensavo che non mi avrebbero accettato per la scelta particolare del mio mezzo invece lo adorano tutti. Per me girare sul carro funebre è anche una forma di terapia per affrontare la timidezza che per tanto tempo mi sono portato dietro. Ho scelto di affrontarla con una scelta eccessiva; mi sono buttato in qualcosa che mi portasse fuori da me, dai miei pensieri e mi sbattesse in mezzo alla gente, spesso anche a sostenerne gli sguardi diffidenti e le critiche. Certe volte si fanno cose per vincere i nostri limiti, io ho scelto di farlo così”.

L’amore di Peppe per i carri funebri è però inevitabilmente anche un incontro con la morte un dialogo con essa e un modo per esorcizzarla. “La morte è una delle prime cose di cui abbiamo coscienza, sappiamo che dobbiamo morire e prima accettiamo questa idea, meglio è; la morte è rinascita, ripartenza, è la cosa più democratica: tocca tutti e tutti ne sono toccati. Da quando ho questa macchina ho percepito delle cose legate alla morte, ho sentito che questa macchina e l’idea di morte che rappresenta è accettata a seconda delle fasce di età: le persone di 40-50 anni spesso non la vogliono vedere, non ne vogliono neppure sentire parlare mentre i bambini e gli anziani ne sono entusiasti, la guardano, la toccano. Una volta incontrai una mamma con una bambina e la bambina disse a voce alta “che bella macchina” e la mamma invece le disse “no, quella macchina è brutta”; è particolare come l’ingenuità veda il bello ovunque, senza conoscere, senza sapere, soltanto così intuitivamente e poi come l’idea di bello venga rovinata da pregiudizi culturali. Chi ha detto che la morte sia brutta? E quello che è legato alla morte sia brutto? Penso solo che sia un altro mondo, un altro viaggio. Penso che la vita non sia altro che un prestito da restituire”.

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