Tuta e guanti anti virus
La volontaria in ambulanza coi casi sospetti

Benedetta Bazzi ha 30 anni e fa la volontaria alla Misericordia di Rifredi. Nei giorni scorsi è arrivata la chiamata dal 118 per andare a prelevare da casa una possibile contagiata: «Nessuna paura in ambulanza, la vera paura è nelle strade e sui media»

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Benedetta Bazzi ha 30 anni e due volte a settimana, da quando ha 17 anni, sta alla Misericordia di Rifredi, sulle ambulanze, per soccorrere, tranquillizzare, aiutare. Anche sabato scorso era in servizio quando dal 118 arriva la chiamata che proprio in questi giorni avresti evitato: caso sospetto di Coronavirus. Ansia e preoccupazione, certo. Ma anche battute per sdrammatizzare: «Che sfiga, proprio a noi». Che si fa? «Si seguono le indicazioni del dottore per prepararsi ed essere attrezzati», dice Benedetta. Sacrosante parole, oro che cola nel vortice di tuttologia e amuchina in cui è finito il Paese.

Benedetta oggi è una consorella, così si chiamano le volontarie della Misericordia, soccorritrice di livello avanzato. Sa mantenere la calma. Nel kit Dip (dispositivo di protezione individuale) c’è tutto quello che serve per proteggersi: la tuta bianca intera che ti barda dalla testa ai piedi, la mascherina con i filtri speciali, i guanti, gli occhiali. «Sapevo che prima o poi quella chiamata sarebbe toccata anche a me. Tutti siamo colpiti dal clamore mediatico, ma la mia è una scelta e non certo un sacrificio». Benedetta si è preparata come da manuale, ha infilato prima la tuta, poi la mascherina, il cappuccio e i guanti.

Bianca come il fantasma che agita le paure di tutti in questi giorni, Benedetta è chiusa lì dentro, guerriera contro il nemico pubblico numero uno. A dire il vero, la paura era più fuori, nelle strade e tra le notizie che rimbalzano tra telefoni e tv. In quel mezzo di soccorso che si muoveva per le strade di Firenze non c’era tempo per la paura, soltanto attenzione alle istruzioni del sanitario. Un viaggio breve, che ha portato alla corte interna di un palazzo di Rifredi. Nessuno sguardo curioso o smartphone puntato a fotografare. La donna con i (presunti) sintomi, circa 30 anni, è già fuori la porta di casa ad aspettarli. Lei sì che aveva paura. «Il nostro compito è stato prelevarla e accompagnarla, ma soprattutto tranquillizzarla. In questi casi devi saper controllare il lato emotivo, trasmettere fiducia ed essere pronta».

Come da copione, l’ambulanza si è diretta all’ospedale di Ponte a Niccheri, al reparto malattie infettive. Nel tragitto si è parlato di quello che sarebbe accaduto di lì a poco: l’arrivo in reparto, il tampone, l’attesa dei risultati. Venti minuti sono lunghi per tutti, per la paziente in barella e per i soccorritori. «Si è sfogata, ma abbiamo anche sdrammatizzato – racconta Benedetta – La paura di questa donna era più da mamma, aveva timore per il suo bambino. Ci ha raccontato della sua famiglia, della sua vita». Poi l’arrivo in ospedale e gli esami. «Risultati negativi, che sollievo. È andata bene – sorride Benedetta –  Ma ci aspettiamo altri casi, ora che è stata riscontrata la positività di più persone». E si riparte, con l’armatura bianca, la mascherina e i guanti.

«È una scelta, non un sacrificio – ripete – Mi sento portata ad aiutare gli altri, come dire, adeguata». Forse è l’umiltà che nasconde il vero coraggio. Mentre i suoi coetanei vanno a cena fuori, lei fa servizio alla Misericordia. Le prime volte è stata durissima. «È stato difficile quando ho visto un mio coetaneo coinvolto in un incidente. Quella sera mi ha aiutato la squadra di supporto. Facciamo così quando abbiamo un calo emotivo, ci sorreggiamo per farci forza. È fondamentale avere fiducia nella squadra, sapersi appoggiare all’altro, altrimenti si cade. Grazie a loro sono diventata la donna che sono. Sono convinta che sia bello e necessario coltivare il lato emotivo di ogni lavoro, curarlo, saperlo anche controllare, in questo come in ogni lavoro, altrimenti diventa tutta fredda routine».

Oggi Benedetta è una giovane donna che ama la musica e va ai concerti, canta in un coro, sta con gli amici. Lavora nel sociale: «Sono da sei anni un’educatrice di bambini e ragazzi fragili, che per me sono speciali». La vita di Benedetta, eroina inconsapevole e contemporanea, è così: su un’ambulanza di notte, con i bambini speciali di giorno. E adesso, qualche preoccupazione sul Coronavirus. Ma lei sdrammatizza e dice: «Speriamo non mi cancellino il concerto di Masini».

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