“Mio babbo, inglese, frequentò Cambridge negli anni ’60, per questo era nel mio panorama nonostante io fossi cresciuto a Firenze. L’impatto non fu molto positivo, niente da dire dal punto di vista accademico è il paradiso, ma per me, che ero stato un bambino tremendamente timido con genitori stranieri, e a fatica avevo iniziato ad uscire dal guscio a 17 anni, inoltrandomi piano piano nell’ambiente fiorentino, Cambridge significava ricominciare di nuovo da capo”. A volte sembra che non siamo mai adatti abbastanza: “Qua a Firenze ero poco fiorentino, con poco accento e un background diverso, là a Cambridge erano delusi che fossi troppo poco italiano! Con l’inglese di mio babbo degli anni 40, l’assenza totale di slang, e una cultura diversa, ero di nuovo un alieno. Una sofferenza per me”.
Mentre la sua vita accademica procedeva senza intoppi dopo aver trovato la sua vocazione nell’antropologia, la vita del college diventava sempre più stretta e la nostalgia di casa, dei legami e delle scoperte giovanili, quasi intollerabile. “Ogni occasione per tornare, parlarne, la coglievo. La tesi del terzo anno l’ho fatta sui monaci della Badia Fiorentina davanti al Bargello, sul loro ordine monastico e il loro attivismo contemplativo. Questo mi ha permesso di passare molto tempo a Firenze e intanto coltivare la vita sociale che volevo, quella fiorentina. Quando dovevo ripartire mi veniva da piangere”.
All’ennesimo periodo di permanenza a Cambridge indigesto, guardando i suoi amici uniti dalla passione per l’Oxford United, pensa: e la Fiorentina? “Mi sono appassionato come un dannato pur capendone molto poco, ci sono entrato puramente per l’aspetto identitario, era la mia àncora su Firenze. Quando tornavo ho iniziato timidamente ad andare allo stadio. Ho iniziato dalla Ferrovia, Maratona, e infine la Fiesole. La prima volta in Curva Fiesole, e il primo coro, sono stati come un orgasmo, si può dire? Un’esperienza incredibile, il rumore, il senso di libertà”.
Dopo la tesi si prende un anno sabbatico, torna a Firenze e compra l’abbonamento. “All’inizio andavo da solo poi ho incontrato amici e ho iniziato ad andare con loro. Ho scoperto che mi piace tantissimo cantare i cori, mi piace da morire l’estetica del tifo, la festa. Chi l’avrebbe detto? Potersi alzare aprire le braccia e cantare senza vergogna, nessuno ti giudica. Il calcio c’entrava poco in realtà, non guardavo il campo ma chi mi stava intorno”.
Nel 2016 alle orecchie di David, al quale la serie A piaceva ma non serviva del tutto, iniziano ad arrivare delle voci su un certo Lebowski, squadra dilettantistica seguita e gestita interamente da tifosi con un progetto di scuola calcio basato sul volontariato. “Quello che mi colpiva era l’umorismo selvaggio dei loro striscioni irriverenti e satirici. L’autoironia che mancava nel calcio grande. Pensavo ai miei studi sull’attivismo, su come anche il loro modo di tifare e di sviluppare il progetto ne fosse una forma innovativa. Mi sono ritrovato a dover scegliere la mia tesi di dottorato: un anno in Canada in un monastero, oppure diventare un infiltrato a tempo pieno nel mondo Lebowski?”. Sappiamo come è andata: “Tesi di ricerca accettata. Innamoramento folle dal primo giorno. Volevo una cosa che fosse l’opposto di Cambridge ed ho trovato tutto: identità, ultras, fiorentinismo, ironia, tutto. Non ero più un alieno. Rispetto alla Fiorentina, ero circondato da amici fraterni che si prendevano in giro e davano tutto quando era il momento. Senza televisioni, senza scorciatoie, senza limitazioni. Ho capito che desideravo cose che non sapevo di desiderare: sgarrare, espormi, azzardare. Essere un pirata e parte di un branco”.
Come un fulmine a ciel sereno ha trovato una scuola di vita nel Centro Storico Lebowski: “A 24 anni, da Cambridge, ho imparato la cultura fiorentina, me la sono cercata spinto dalla ricerca di appartenere ed essere parte di qualcosa. Questo è stato il Lebowski con la sua aggregazione attorno al calcio che è molto di più. Il suo “chiamarsi”, crescere nel progetto con auto-organizzazione e solidarietà. Tutto per amore della causa. Era un modo per cambiare la mia vita ed è successo. Su quegli spalti, cantando a squarciagola, credendoci, trovando amici, finalmente ero al mio posto”. Nell’estate del 2020, nel Dipartimento di Antropologia Sociale della celeberrima Università di Cambridge, in Inghilterra, David ha presentato la sua tesi di dottorato, scritta con estrema passione, sul Centro Storico Lebowski di Firenze.