Beatrice, la lampredottaia di San Lorenzo.
“Sono qui dall’86, il mercato è la mia casa”

Beatrice è la lampredottaia di via dell’Ariento, angolo via Sant’ Antonino, banco numero 75. I suoi clienti li chiama bambini e ogni volta che prepara un panino sorride. “Sono qui dal 1986. Ho soltanto la terza media ma mi sento di aver fatto l’università della strada”

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“Faccio la lampredottaia dall’86, da quando mia mamma dopo aver fatto sempre l’operaia voleva fare l’affare della vita e realizzare un sogno, così decise di comprare, su suggerimento di mio cognato che vendeva trippa al dettaglio, il banco del lampredotto vicino a San Lorenzo per farla diventare l’attività di famiglia. Fui io però ad intestarmelo, a mia mamma sembrava un passo troppo grande. Dopo 3 anni mia madre è morta, mio fratello aveva diciotto anni e non si è sentito di continuare a lavorare al banco, era giovane, ma io ho continuato e poi ho insegnato ai miei nipoti e a mio marito, loro adesso fanno altro, ma io sono sempre qui, sono sempre stata l’anima di questo banco, il motore di tutto”.

Beatrice è la lampredottaia di via dell’Ariento, angolo via Sant’ Antonino, banco numero 75. Vive ogni giorno la città con gli occhi di un’osservatrice di quelle brave, di quelle  che si accorgono di tutto: dai giri loschi ai sorrisi belli, fino alle difficoltà delle persone; è un viaggio nell’umanità il suo e sullo sfondo della sua esistenza c’è il mercato di San Lorenzo, crocevia di vite e traffici, con la sua confusione. La giornata di Beatrice ha dei ritmi serrati, non per sua scelta ma perché ormai è rimasta sola a lavorare: si alza alle 3 e mezzo e poi, giusto il tempo di raggiungere il magazzino, vicino al suo banco, che inizia a cucinare, mette su il lampredotto, il lesso, la trippa, tutti piatti della tradizione fiorentina. Il suo lavoro è un atto dovuto alla tradizione culinaria cittadina, una missione: far assaggiare a tutti uno dei cibi più famosi al mondo: “E’ una grande soddisfazione vedere gli altri che apprezzano i miei panini e la mia cucina, lo faccio per questo”.

Il suo banco è amato da tutti ma in particolar modo, un occhio di riguardo, lo hanno gli asiatici: Beatrice li accoglie con i menù scritti in cinese, giapponese e coreano e questa sua gentilezza, questo rispetto, ha scatenato un passaparola enorme su internet: “Mi conoscono perché leggono le recensioni scritte da altri, a volte presi dall’entusiasmo mi mettono anche su tik tok, gli piace che abbia i menù nella loro lingua e quando girano per Firenze sul lampredotto vanno a colpo sicuro e vengono da me. Mi piace includere tutti e far sì che tutti si sentano a casa, ho sempre cercato di farmi capire e lo voglio continuare a fare”. Ad ogni ora del giorno per la strada si sente riecheggiare “Oh bambini che vi dò”, Beatrice chiama tutti bambini, è una forma affettuosa con cui si rivolge ai suoi clienti, alcuni non capiscono e gli dicono “Ma io non sono un bambino”, lei ride e poi glielo spiega che per lei è così.

La voce di Beatrice è forte, profonda, la alza spesso perché per servire le persone ha da farsi sentire e poi arriva anche la sua risata esplosiva, la simpatia è sempre sul menù del giorno, insieme al lampredotto. “Negli anni 80 e 90 – ricorda Beatrice – c’era chi alle 9 e mezzo nella zona di San Lorenzo col lampredotto ci faceva colazione, c’erano tutti quelli che scaricavano i pancali di carne, gli autotrasportatori da Modena, c’erano i ferrovieri dalla Sicilia e da Napoli, avevano delle ore di fermo e mangiavano i panini col lampredotto, alcuni mangiavano anche la pasta, avevano bisogno di energia, l’orario della colazione per loro era come se fosse il pranzo, avevano viaggiato nella notte, avevano fame”. Ora però San Lorenzo non è più quello di una volta non c’è più la confusione di un tempo, è un luogo come un altro, sempre di tradizione ma ridimensionato come tante realtà di questi tempi e di quelle persone non si ferma più nessuno. È un mondo a sé, il mercato, un mondo con le sue dinamiche e le sue regole, per certi aspetti faticoso, ci sono tante gelosie. Però c’è anche la solidarietà, l’amicizia: “Quando morì mia mamma tutto il quartiere mi si strinse intorno e mi aiutarono molto, stavo male, persi 15 chili in 20 giorni. Dopo la morte di mia mamma lasciai il banco per alcuni anni e feci altro, andai a fare un’esperienza da Dario Cecchini, a Panzano, quante cose ho imparato da Dario sono andata anche in televisione con lui, è il re della macelleria ed un amico, è stato un grande maestro per me”. Dopo questa pausa Beatrice ha poi ripreso la proprietà del suo banco, ed è tornata a pieno regime.

La delinquenza è stata per tanto tempo palpabile nella zona di San Lorenzo, dietro al banco di Beatrice: “La Polizia era spesso da me ad accertarsi che stessi bene, qui c’era di tutto in quegli anni”. Nelle vie vicino al mercato c’erano bische clandestine: “Ho visto gente giocarsi la Ferrari e perderla, se è per questo alcuni si sono giocati anche la moglie; c’erano anche le case chiuse in via dell’Amorino, tante delle prostitute che ci lavoravano sono diventate talmente ricche che si sono comprate gli appartamenti che ora sono bnb affittati a turisti. C’erano anche tanti
truffatori fra cui il falsario più famoso di Firenze, Augusto, un colombiano, uno che non faceva rumore e passava inosservato e così stava bene a tutti, falsificava qualsiasi tipo di documento, era una bella persona, gli volevano tutti bene, passava spesso dal banco di Beatrice, era parte del quartiere, della sua identità “è morto a più di 90 anni, gli ultimi giorni di vita ha dormito nel mio magazzino perché non aveva una casa”. A San Lorenzo c’era un’aria di pericolo costante, nella zona c’era sempre qualcosa che faceva sussultare, ci sono state sparatorie e accoltellamenti,
proprio lì, ad un passo da Beatrice.

Stare tanto al pubblico fa conoscere le persone in mille versioni e Beatrice i volti della gente li conosce bene: “Hho la terza media ma mi sento di aver fatto l’università della strada”. Stando sempre piegata a tagliare il lampredotto e a fare i panini Beatrice ha imparato a sviluppare altri sensi, “avendo sempre le mani e gli occhi impegnati sul banco è un po’ come se fossi cieca e dovessi riadattare i miei sensi, il mio udito è molto sviluppato: io ascolto, memorizzo il tono di voce delle persone, riesco a coglierne tutte le sfumature, anche senza guardarle subito, riesco a capire talmente tante cose”. C’è chi da Beatrice va anche a chiedere consigli e a trovare conforto, la sua voce da alta si fa accogliente, comprensiva, empatica e diventa un abbraccio, ai suoi clienti, alla gente del quartiere a chi è solo di passaggio.
A San Lorenzo, centro della sua vita, Beatrice ha anche trovato l’amore, ha conosciuto lì suo marito Adriano, lui era uno di quelli che spingeva le bancarelle.  “Quando mia mamma era ancora viva chiedeva spesso a dei ragazzi di aiutarci a tirare il banco e dopo offriva la colazione a tutti, fra questi ragazzi c’era anche Adriano, io ero considerata la bella del quartiere, ci piacevamo e ci guardavamo di nascosto, una volta gli chiesi di uscire, non sono mai stata troppo timida”.

 

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