Tutti gli anni, a Saint-Vincent in Valle d’Aosta, si svolgono i campionati italiani di biliardo. E Mario Papini, fiorentino, veterano di questo gioco e campione della scuola toscana, non poteva certo mancare lo scorso 29 giugno; mai però avrebbe pensato che sarebbe accaduto l’impossibile: “È successa una cosa eccezionale. Su 128 iscritti al torneo Over 65, c’era un signore del 38, io del 39, uno del 40, e poi tutti più giovani di noi. Ed io sono arrivato secondo. È una cosa rarissima che un over 80, come me, arrivi in finale. Infatti mi hanno chiamato tutti, anche dall’Argentina, dove ho giocato più volte, e Matteo Gualemi, campione del mondo del 2015 mi ha detto: “Mario, se prendevi il titolo mettevo uno striscione davanti al forno delle Due Strade!”.
Mario parla del biliardo come se fosse la sua ragione di vita: “Ho iniziato a 16 anni quando facevo l’istituto tecnico. Mio babbo Roberto giocava, ma io dovevo uscire di nascosto per andare nelle sale perché mi era stato assolutamente proibito. Il mondo del biliardo, soprattutto allora, era visto male, c’erano malaffari, scommesse, trucchi, rovinava famiglie. Ma io volevo giocare a tutti i costi, e dopo anni anche lui ha lasciato perdere perché ha visto che stavo diventando bravo”.
Roberto, però, sarebbe stato solo il primo ostacolo. Pur di giocare Mario ha rischiato tutto: “Ho lavorato per 40 anni in banca come funzionario Titoli & Borsa, iniziando al Credito Italiano in Via Vecchietti, che si trovava di fronte ad una sala da biliardo famosa in tutta la nazione, un cult del dopoguerra: il Gambrinus. Capirai! Eppure era visto male, dovevo nascondere questa passione, che per me è sempre stata puramente sportiva, una ricerca maniacale della perfezione su quel rettangolo magico fatto di biglie e strategia. A volte filava tutto liscio, altre sono stato sull’orlo del licenziamento perché arrivavo tardissimo perdendo delle grandi occasioni”. Mario ride, senza rimorsi, come a dire che al cuore non si comanda, anche quando mette in crisi il tuo matrimonio: “Il biliardo causa diversi divorzi, anche io a 35 anni ho rischiato grosso! Ho raccontato diverse bugie pur di partecipare ai tornei. Dicevo che ero a Grosseto e magari ero in Sardegna, e Anna, mia moglie, mi diceva: sei un ballista! Poi si è arresa di fronte a questa mia amante a forma di stecca, e per fortuna siamo riusciti a resistere”.
Il biliardo è stato per Mario, ed è ancora, un vero compagno di vita e di avventure: “Mi ricordo ancora il mio primo campionato italiano a Pavia, nel ‘63, mentre eravamo per strada la radio annunciò l’assassinio di Kennedy. Ho tanti ricordi legati a questo gioco. Uno su tutti Marcello Lotti, il mitico “Lo Scuro”, che è stato l’avversario di una vita. Lui stava a Peretola e faceva il postino, dal ’60 divenne il Campionissimo del biliardo, ed ebbe successo con il film di Nuti, anche lui appassionatissimo di questo gioco; infatti, sono stato a casa sua diverse volte. Che scontri memorabili! Tra me e lo Scuro, però, non c’era buon sangue finché giocavamo entrambi, a casa ho ancora un VHS di una finale a Borgo San Lorenzo in cui da ultimo vinco la partita con un tiro molto complicato, e sbotto dicendo: “muori cane”. Come sfogo agonistico! D’altronde, se non ci fosse stata questa rivalità avrei rischiato di rimanere uno dei tanti: la nostra lotta è stata fondamentale”.
Oggi Mario spera di vedere il biliardo diventare disciplina olimpica, dopo che a gennaio del 2023 è diventato Federazione Sportiva Nazionale a livello CONI, anche se trovare sale adibite sul territorio è sempre più difficile: “Il Gambrinus è chiuso da oltre vent’anni per una ripicca dei proprietari. Oggi i tanti bar che avevano uno o due tavoli non li hanno più perché poco redditizi. A Firenze ci sono solo due sale e un’altra decina sparse in provincia. È un peccato”. Lui, intanto, dopo settant’anni di gioco ad alti livelli è una leggenda del biliardo fiorentino. Rimane competitivo su scala nazionale dimostrando che l’età non sempre conta, e continua ad allenarsi nella sala della casa del popolo di Tavarnuzze, rimanendo fedele al gioco per cui ha rischiato davvero tutto, senza mai scommettere niente.