Mirco, da elettricista a chef in Danimarca.
“Ho chiuso la mia azienda a Firenze per aprire la mia vita altrove”

Ci sono partenze che non nascono dai sogni, ma dalla stanchezza. Quella di Mirco Ceccherelli, fiorentino, oggi chef in una grande azienda di catering danese, è una di queste.

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“Ero stanco. Stanco della burocrazia, dei pagamenti che non arrivavano mai, del peso di tenere in piedi un’impresa da solo.”
Prima di reinventarsi, Mirco faceva l’elettricista. Aveva aperto una Srl, poi una Snc, e per oltre dieci anni aveva lavorato nel centro di Firenze. Finché, nel 2015, ha chiuso tutto.

È stata la mia ragazza a darmi la spinta. Mi vedeva spento. Mi disse: perché non provi a fare un corso di cucina? Era il mio sogno da sempre, ma i corsi costavano troppo. Così scelsi quello da pizzaiolo, che almeno potevo permettermi.”

Da lì, tutto è cambiato.
La mattina Mirco montava impianti, la sera stendeva impasti fino all’una di notte in una pizzeria a Scandicci. Poi un giorno, con la sua compagna e due cani, ha fatto le valigie e ha lasciato l’Italia. Sei valigie, per la precisione. Destinazione: Danimarca.
Non avevo mai pensato alla Danimarca. Non sapevo nemmeno che la Lego fosse danese. Ma un colloquio con un ristoratore italiano mi convinse. E così partimmo. Non per fare un’esperienza: per non tornare più.

All’inizio, però, è stato un incubo.
Mi trovai in un paesino di 400 abitanti, con una pecora e nient’altro. Buio alle tre del pomeriggio, freddo, silenzio. E il peggior italiano della mia vita come datore di lavoro. Tirchio, avido, disonesto.
Mirco resistette otto mesi, poi cambiò ristorante, e la vita ricominciò a girare.

Per quattro anni lavorò in una pizzeria di italiani “seri e corretti”, ma sentiva che gli mancava qualcosa: vivere davvero da danese.
Noi italiani all’estero spesso restiamo italiani, anche nei difetti. Io invece volevo capire come ragionavano loro: tasse pagate, regole chiare, niente furbizie.

Da lì, un passaggio dopo l’altro: un’offerta come socio in una pizzeria ad Aarhus, poi un’esperienza con un imprenditore afgano che voleva “una pizzeria italiana… con il curry nella passata”.
Gli dissi: senti, la faccia ce la metto io, ma non la vendo per una finta pizza italiana. E me ne andai.

Arrivò il tempo di fermarsi e respirare. Mirco entrò in un sistema che in Italia suona quasi fantascienza: una disoccupazione pagata e garantita dai sindacati, utile per formarsi e ripartire.
Mi diedero modo di cercare altro, ma non feci in tempo. Mi chiamarono da Catering Denmark, una delle aziende più grandi del paese. All’inizio ero solo un pizzaiolo. Tre anni dopo, sono lo chef.

Oggi lavora in un ambiente stabile, con sanità privata, pensione, orari precisi e rispetto per il lavoro. “È un altro mondo. Qua la burocrazia non esiste, davvero: tutto automatico. E se ti impegni, le porte si aprono.

Cucina piatti danesi, “molta patata, molta anatra”, ma appena può infila un pezzo di casa.
Quando devo fare una lasagna per le aziende, butto via la ricetta loro e la faccio davvero italiana. Con il cuore.
Ogni anno torna a Firenze in macchina, per riempirla di “lampredotto, trippa e finocchiona”. Li porta su, li cucina, li fa assaggiare agli amici danesi.
Non sempre capiscono. Una volta ho fatto assaggiare il lampredotto, mi hanno detto che sapeva da mangime per cani. Mi sono quasi offeso.

Se deve dare un consiglio, Mirco non ha dubbi:
Partire. Non avere paura. Chi ha voglia di lavorare e un mestiere in mano, qui trova un futuro. La differenza è che se sbagli, non ti giudicano. Puoi chiudere, riprovare, ricominciare. In Italia un fallimento è una vergogna. Qua è solo un’esperienza.

Sogni? “Andare avanti. Crescere in azienda. E magari un giorno aprire qualcosa di mio, con la mia compagna, dove si mangi fiorentino vero. Anche se il lampredotto me lo mangerò da solo.

In Italia se chiudi un’attività dicono che sei fallito. Qui dicono che ci hai provato. È una bella differenza

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