«Mi misero davanti alla macchinetta del caffè. Doveva essere sempre pulita, con le cialde nuove pronte. Ho detto: va bene. Perché sul set, il caffè è vitale». Matteo Cichero ha cominciato così. Non da regista, né da creativo, ma come guardiano silenzioso sul set di una fiction al Teatro Romano di Fiesole. «Non mi pagavano, ma volevo esserci. L’idea che stessero girando un film e io fossi lì mi bastava».
Viene dal teatro amatoriale, ha una passione viscerale per la scena. E una naturale inclinazione per l’organizzazione. Un passo dopo l’altro, diventa assistente di produzione, poi coordinatore, poi ispettore, poi direttore di produzione, organizzatore. Infine, produttore. Tutto senza scorciatoie. E senza patente, che non ha mai voluto prendere. Nel 2012 fonda Ecoframes con due soci, Matteo Giulio Pagliai e Andrea Poli. «Eravamo in tre, un’unica stanza, un solo telefono. Chi rispondeva faceva finta di essere il “centralino” e passava la cornetta: “Un attimo, le passo il reparto regia…”». Fingevano una struttura. Ma funzionava.
Un giorno arriva una mail. Chiedono di girare a Firenze. Vogliono bagnare il pavimento di Piazza Duomo per renderlo meno riflettente. Niente dettagli, né produzione né titolo. «Pensavamo fosse uno scherzo. Così, per gioco, rispondo: se volete possiamo mettervi a disposizione anche Piazza della Signoria e Santa Croce. E allego una fattura: 1.500 euro per un sopralluogo. Dopo mezz’ora ci mandano il bonifico». Era Inferno, il promo mondiale per la presentazione del bestseller di Dan Brown. Dentro il Battistero. Dentro l’Accademia. Dentro Palazzo Vecchio (nel film poi girato anche ad Istanbul e Budapest).
Matteo non porta Tom Hanks al Battistero, ma lavora con lui. E un episodio, più di tutti, gli è rimasto impresso. «All’uscita da un’anteprima a Cannes, Tom saluta tutti. Una ragazza del nostro team – l’assistente di un mio coproduttore – cade proprio mentre lui passa. Si rompe la caviglia. Ma non dice niente, stringe i denti, resta lì sorridente. Solo dopo inizia a urlare dal dolore. Non voleva perdere l’occasione di salutarlo». La differenza tra chi fa il divo e chi fa cinema vero, dice Matteo, si vede da queste cose. «Tom Hanks, alla fine di una scena con centinaia di comparse, si ferma e ringrazia una a una. Altri invece ti fanno pesare che “loro sono loro”».
E poi ci sono le richieste impossibili. Tipo quella volta, durante Pitti, quando un vip internazionale pretende due suite in un cinque stelle per la sera dopo. «Gli troviamo una delle camere più belle di Firenze, con vista Duomo e vasca idromassaggio sul terrazzo. Ma era in un quattro stelle. Ha detto: no, avevo chiesto cinque stelle. Alla fine prenotammo fuori città, più scomodo ma con la stella giusta. Era felice». «Aveva tre suite, la vista su un parcheggio, ma era contento. Non era Firenze che cercava, era il bollino».
Nonostante le produzioni, i viaggi e le proposte ricevute da Milano, New York e Qatar, Matteo ha sempre scelto Firenze, dove ha fondato con Fabrizio Guarducci la loro casa di produzione Fair Play. La città “che sembra un villaggio, ma con dodici teatri, tremila ristoranti e musei da capitale”. Anche se, dice, il rapporto col cinema è ancora immaturo. «Abbiamo uno dei bandi cinema più bassi d’Italia. Le produzioni vengono a fare gli esterni e poi girano tutto altrove. Anche Hannibal, che era ambientato a Firenze, ha girato qui solo pochi giorni. Il resto lo hanno fatto in studio».
C’è una mentalità da cambiare. E un racconto da riscrivere. «In Italia, se dici che lavori nella cultura, ti chiedono: sì ma di lavoro che fai? All’estero, lo show business è un’industria. Da noi sembra beneficenza. Eppure se fai bene una mostra, un concerto, un evento, i biglietti li vendi. Eccome».
A quasi vent’anni dall’inizio, il sogno è ancora lo stesso: creare qualcosa che resti. Che tra cinquant’anni venga ancora ricordato. Intanto, lavora a due nuovi film – uno con Ornella Muti, uno con Stefania Rocca – e porta avanti un festival nazionale sulla commedia d’autore, lanciato da poco in Palazzo Vecchio.
Poi ci sono le piccole rivincite. Come quella volta in Cina, unico produttore italiano invitato al China Chongqing Science and Technology Film Week. «Una megalopoli da 32 milioni di abitanti. Mi hanno voluto per rappresentare l’Italia. Ci ho visto il futuro, fatto di schermi LED da cento metri e centri commerciali da mezzo milione di metri quadri. Poi sono tornato a casa. E ho rivisto il Battistero. E mi è bastato».