“Fin da ragazzino ho avuto di tutto: falchi, gatti, serpenti. Gli animali sono sempre stati parte della mia vita, e io volevo farne qualcosa di più grande.” Quel legame oggi è diventato Bio e Brado, aperto nel 2021 sulle colline a sud di Firenze: allevamento allo stato brado di suini, fattoria didattica, bottega e punto ristoro.
“Gestire un punto ristoro non era il mio sogno. È arrivato solo perché serviva a rendere sostenibile il resto. Bio e Brado è un progetto in evoluzione, che tiene insieme allevamento, macelleria e didattica.”
Dopo gli studi di Agraria a Firenze, Pietro scelse l’Umbria per allevare cinta senese. “La mattina ero tra i campi, il fine settimana salivo a Firenze per portare i prodotti nel negozio di babbo. Mi resi conto che la gente ascoltava davvero quello che raccontavo.” Quel doppio binario non poteva durare a lungo. “Ho scelto di buttarmi, anche se sapevo che non sarebbe stato facile.”
Aprire nel 2021 fu una scelta controcorrente. “Tutti chiudevano, io aprivo.” Pietro faceva tutto: montava il casottino giallo, serviva ai tavoli, compilava carte. “Ci sono stati giorni in cui ti chiedi chi te lo fa fare. Poi guardo gli animali e mi torna la forza.”
La differenza sta nel modo di allevare. Niente intensivo, niente scorciatoie. “I miei maiali crescono liberi sulla terra, ci vogliono due anni per arrivare al peso giusto, mentre nell’allevamento intensivo ne bastano sei mesi. Quelli che arrivano da altri allevamenti, abituati al cemento, sulle prime non riescono nemmeno a camminare dritti sulla terra.” Anche l’alimentazione è scelta: niente mangimi forzati, niente proteine aggiunte. “Certo, costa più tempo e fatica, ma se vuoi un prodotto vero non ci sono scorciatoie.”
Tutto questo si riflette nella somministrazione. Il menù del punto ristoro è quasi interamente dedicato al maiale, con poche eccezioni. “A parte il manzo, che arriva da una fattoria ad Arezzo, e il pollo che alleviamo noi, tutto viene da qui. È la chiusura del cerchio: quello che vedi in stalla lo ritrovi nel piatto.” Bio e Brado non è un locale elegante, ma il completamento di un ciclo. “Qui non c’è bisogno di tirarsela. Non è un posto sofisticato, è una fattoria.”
Accanto ci sono la bottega e la fattoria didattica, sempre aperta. “Non farò mai pagare l’ingresso. Per tanti bambini è la prima volta davanti a un maiale nero o a un agnello. Non voglio barriere.”
Uno dei nodi resta il personale. “Non sono un datore di lavoro alla vecchia maniera. Io non voglio comandare, ma responsabilizzare. Chi non regge se ne va, chi resta scopre un ambiente diverso e non tornerebbe a un ristorante tradizionale.”
Il progetto non si ferma. Pietro sta aprendo un laboratorio di macelleria a Ponte a Ema e sogna un mini-campeggio “con i bungalow affacciati sulle stalle, una parete di vetro e l’animale dall’altra parte che dorme.” Nessuno gli ha detto che non si può fare: gli hanno detto che non sanno se si possa fare, perché non esistono precedenti. “È sempre la stessa storia: la burocrazia ti blocca quando non sa cosa fare di nuovo.”
Alla base resta la stessa idea: coerenza. “La mia soddisfazione non è un piatto ben riuscito, ma sapere che dietro c’è un ciclo intero seguito da me.” Poi un sorriso: “Non so se consiglierei a un giovane di fare questo mestiere in Italia: la passione c’è, ma ti fanno passare la voglia. Io però non smetto. Ogni mattina che arrivo qui capisco che non potrei fare altro.”
Gli animali sono sempre stati parte della mia vita, e io volevo farne qualcosa di più grande