“Disegnare gentilezza” la storia di Leonardo Ciari

La storia di Leonardo Ciari, il fornaio che regala ritratti per ricordarci cosa conta davvero

Condividi questa storia su:

Condividi su facebook
Condividi su twitter
Condividi su linkedin
Condividi su whatsapp

Aveva sedici anni e la testa piena di sogni – e di una ragazza, che a quell’età è più o meno la stessa cosa. Leonardo Ciari studiava al liceo artistico di Empoli, ma la scuola finì presto, “bocciato” dalla vita adulta che lo mise dietro al bancone di un forno. L’odore del pane caldo prese il posto dei colori, le mani si abituarono alla farina invece che al carboncino. I genitori gli avevano detto che con l’arte non si campa, e per un po’ ci aveva creduto anche lui.

Poi, anni dopo, qualcosa è tornato a bussare. Non una crisi di mezza età, ma una nostalgia buona, quella che ti riporta al punto in cui avevi smesso di crederci. “Mi mancava la scuola, quella parte di me che avevo lasciato lì”, racconta. Una sera, dopo l’ennesimo turno di notte, trova per caso la notizia dei corsi serali del liceo artistico a Firenze. Non ci pensa due volte. Lavora di notte al forno, dorme la mattina, parte il pomeriggio da Montespertoli per arrivare in via San Gallo. “Per quattro anni non mi è pesato un giorno. Era come tornare bambino, a quel pensiero sognante.”

Quattro anni di tramvia, di corse, di libri nello zaino e mani che sapevano ancora disegnare. Poi il diploma, e con lui una promessa mantenuta a se stesso. Oggi Leonardo disegna di nuovo. Ma non per sé: per gli altri. Regala ritratti per strada, a sconosciuti incontrati per caso. Non chiede nulla in cambio, solo la possibilità di donare un momento, un sorriso, un frammento di umanità.

Viviamo in una società diffidente, anche io lo sono. Alcuni rifiutano il ritratto, pensano ci sia un trucco. Ma poi ci sono persone che piangono, che ti abbracciano. Una mi è saltata addosso dall’emozione. È incredibile quanto un foglio possa diventare un abbraccio.

Il suo modo di fare arte è diventato un linguaggio universale. Niente gallerie, niente mostre, niente cornici dorate: solo persone vere. I suoi video, girati spesso per strada o in un parco, hanno superato milioni di visualizzazioni. Oggi oltre 140mila persone lo seguono sui social. Ma lui resta lo stesso ragazzo che a sedici anni si era perso e poi ritrovato. “I social non sono un male, dipende da come li usi. Io li uso per comunicare arte e gentilezza. Non puoi piacere a tutti, ma puoi essere vero. E quando porti amore, attrai amore.

Dietro quella calma che si legge nei suoi video, c’è una storia di resistenza silenziosa. Nonni che hanno fatto da genitori. Anni di lavoro di notte, senza orari, con la sveglia che suona quando il resto del mondo dorme. “Mi hanno insegnato i valori che oggi cerco di trasmettere: il rispetto, la gratitudine, la semplicità. Oggi mi accorgo che sono le cose che più mancano.

Per un periodo ha praticato anche boxe, uno sport che lo ha aiutato a conoscersi meglio. “Non è fare male, è imparare a difendersi, anche mentalmente. Ti fortifica, ti insegna a guardarti dentro. Io ero timido, insicuro. La boxe mi ha dato forza, ma non rabbia. È un modo per tirare fuori ciò che hai dentro senza far male a nessuno.

Nel suo modo di vivere e di parlare c’è la naturalezza di chi non deve convincere. Non ostenta, non predica. Fa. Disegna, sorride, ascolta. Perché per lui donare non è un atto eroico: è semplicemente ciò che tiene in equilibrio il mondo.

Non mi interessa scalare vette. Mi piacerebbe vivere di ciò che amo, ma la vera ricchezza sta nelle piccole cose, nei gesti, non nel portafoglio.

Oggi lo trovi spesso all’aperto, in mezzo alla gente o seduto in un giardino, con il blocco in mano e lo sguardo tranquillo. “In un giardino meraviglioso, circondato dalla pace. Non mi serve altro.

C’è qualcosa di profondamente fiorentino in questa sua ostinazione quieta: il rifiuto di piegarsi al cinismo, la volontà di dare un volto buono al mondo anche quando non se lo merita. Leonardo non vende ritratti, regala tempo, che è la cosa più preziosa che abbiamo dimenticato.

La cosa più bella è sapere di aver ispirato qualcuno. È allora che capisci che il tuo sogno non l’hai solo ritrovato: l’hai condiviso.

Condividi questa storia su:

Condividi su facebook
Condividi su twitter
Condividi su linkedin
Condividi su whatsapp

Rimani Aggiornato