Aveva 29 anni quando, nel 2015, lasciò Firenze per partire verso nord. Completata la tesi triennale all’università di Firenze sul telerilevamento satellitare applicato ai pascoli del Gran Paradiso, il percorso è proseguito in Norvegia con un tirocinio finalizzato alla tesi magistrale: Tromsø, le isole Svalbard, la tundra e i paesaggi dove l’orso polare è un rischio quotidiano. “Per lavorare lì servivano corsi di sicurezza, perché davvero poteva capitare di incontrarlo. A volte uscivamo con una guardia armata che ci copriva le spalle durante i campionamenti. Paura e fascinazione insieme, ma era un ambiente che mi emozionava”.
Gli anni al nord non furono semplici. “I luoghi erano estremi, eppure proprio per questo l’umanità delle persone emergeva con più forza: umili, gentili, pronti a condividere la luce di quelle poche giornate di sole. Nel tempo libero passeggiate in montagna, cinema e qualche cena tra coinquilini e amici. Le giornate di campo erano lunghissime, con il sole che non tramontava mai e l’estate scandita dal ritmo della ricerca: campioni di vegetazione raccolti sul campo e poi lavoro al pc per processare i dati satellitari.
Poi il rientro in Italia, a Bolzano, con un dottorato dedicato agli ambienti alpini e ai pascoli di alta quota. “Bolzano è stata una via di mezzo: città piccola, ritmi montani, socialità diversa da Firenze ma una qualità della vita altissima. Soprattutto per i bambini: spazi, natura, asili ben organizzati. Con mio marito avevamo pensato di fermarci lì a lungo”.
Le cose però cambiano quando i figli crescono e il richiamo della famiglia si fa più forte. “L’idea di farli studiare a Bolzano ci convinceva fino a un certo punto. Firenze offre un patrimonio culturale che non ha paragoni: arte, stimoli, un orizzonte diverso. E poi la famiglia: con i bambini piccoli, la vicinanza dei nonni è stata determinante”.
Così oggi, nel 2025, il ritorno a casa. “Molti dicono che Firenze sia peggiorata, io non ho trovato grandi differenze. Certo, trovare casa è più difficile e gli affitti sono altissimi, ma la città in sé mi sembra simile a quella che avevo lasciato. È la mia vita che è cambiata: oggi la vivo con i ritmi dei bambini, non più da studentessa”.
Da Bolzano porterebbe a Firenze una cosa in particolare: le piste ciclabili. “Lì vai ovunque in bici, anche al lavoro e con i bambini. Qui invece rischi la vita. Se Firenze investisse seriamente sulla mobilità dolce, sarebbe molto più vivibile”. Dalla Norvegia ha imparato la gentilezza e la capacità di affrontare i problemi con uno spirito diverso. Esiste un detto norvegese: ‘Non esiste cattivo tempo, solo cattivo abbigliamento’. È una frase che mi porto dietro, un invito a trovare sempre la prospettiva giusta”.
E Firenze, dopo tanti anni, resta casa. “Non ho intenzione di fare altri traslochi. Sono tornata all’Università di Firenze per la ricerca e questo è il posto dove voglio rimanere”.
Il ricordo delle montagne e dei ghiacci resta forte, insieme al senso di libertà che le davano. “Mi mancano la possibilità di salire in quota e guardare il mondo dall’alto. Qui sui nostri Appennini ci sono paesaggi bellissimi, ma le Alpi e la tundra hanno un fascino unico”. Le serate fiorentine ora seguono i ritmi dei bambini, con qualche rara uscita resa possibile dall’aiuto di nonni e zie. La scelta di tornare non è stata un rimpianto. “Gli amici norvegesi e di Bolzano mi mancano, certo. Ma Firenze mi restituisce una dimensione familiare e culturale che altrove non avrei trovato. Dopo dieci anni, era il momento giusto per fermarsi”.
I luoghi erano estremi, eppure proprio per questo l’umanità delle persone emergeva con più forza