Quella di Federica è una storia che spesso viene nascosta, quasi fosse una colpa, nonostante riguardi moltissime donne segnate dall’infertilità e dai traumi che ne comporta. “Si parla di sette anni fa. Avevo trent’anni, ero sposata e non desideravo figli in quel momento, ma li vedevo nel nostro panorama. Stavamo bene. A quell’età anche tutto il contorno inizia a mettere pressione, le amiche che rimangono incinte ogni giorno. Così dopo poco iniziammo a provare, in modo spensierato e naturale. Due anni dopo niente era successo”. Federica la descrive come la prima fase: “Quella del vediamo se c’è un problema. Inizi a prendere la temperatura e a segnare l’ovulazione per sfruttare i momenti di massima fertilità. Un calvario di un anno in cui sono stata malissimo per problemi intimi e infezioni che bloccavano tutto”.
Tre anni passati. Inizia così la fase più dura per Federica, quella degli specialisti e poi della fecondazione assistita: “Loro stessi, gli specialisti, dicono che vanno per tentativi quando si tratta di infertilità idiopatica, senza una causa specifica. Ti ritrovi a rimbalzare da un medico all’altro, a fare decine di esami invadenti e a sentirti ripetere che non c’è niente di strano. Non ci pensi signora, i valori sono a posto. Ma la gravidanza non arriva e tu non sai più che fare. Noi, alla fine, ci siamo fidati dell’unico parere diverso, secondo il quale qualche valore alterato era da considerare. Lo vedevamo come un appiglio, invece nel mio caso è stato un errore madornale. Su cinque specialisti ho ascoltato l’unica che aveva visto un problema, e sono entrata in un loop psicologico. Ho iniziato a convincermi che ero sbagliata e che non ero in grado”.
Federica ricorda lo stato d’animo di quel periodo: “Mi sentivo sola e rotta. Sono entrata in una sorta di depressione il cui apice è arrivato dopo il primo tentativo di fecondazione assistita: sono arrivata lì carica di aspettative e al tempo stesso esausta dagli anni precedenti. La vedevo come la prova finale, l’unica salvezza. Dopo giorni di punture ormonali che mi facevano sentire fuori di testa, monitoraggi dei follicoli, l’aspettativa a lavoro, e l’intervento per il prelievo degli ovuli, è andato tutto male. Mi sono sentita un fallimento”.
È qui che sente di aver toccato il fondo e decide che non avrebbe mai rifatto questa procedura. Inizia la sua ricerca personale per ritrovare la felicità: “Le mie amiche continuavano ad avere figli, e se all’inizio riuscivo ad andare in ospedale, poi iniziai a mandare messaggi di congratulazioni. Mi uccideva, piangevo per tre giorni. Sentivo di non avere più uno posto nel mondo esterno, in cui mi sentivo ossessionata, lagnosa, e incompresa. Così trovai il forum e mi ci chiusi per un mese. A scrivere eravamo tutte donne con problemi di fertilità e in varie fasi della PMA. Condividevamo esperienze e ci supportavamo e consolavamo a vicenda, era diventata una casa. Intanto riscoprii una mia vecchia passione, lo yoga”.
Nel giro di pochi mesi decide di rinascere cambiando tutto: “Ho iniziato a regalarmi del tempo, a fare un grosso lavoro su me stessa. Andavo tutti i giorni a yoga, e quasi per gioco feci un corso per diventare insegnante. Le mie lezioni piacevano, e in poco tempo iniziò a germogliare l’idea: sono ancora giovane, non ho vincoli, non ho figli, lavoro in ufficio da 14 anni. Ho seguito tutti gli step canonici eppure non sono felice. Per chi la devo fare questa vita? Così ho buttato tutto all’aria. Seguendo l’istinto, e tutte le strade che si aprivano in modo facile e naturale man mano che andavo avanti, come un disegno, in un anno sono diventata una delle quindici insegnanti certificate di yoga ormonale; lo yoga di cui avevo bisogno, che più sentivo mio, e che mi ha dato l’opportunità di aiutare altre donne con problemi simili ai miei”.
La gravidanza continua a non arrivare, ma la sua avventura di rinascita completa si rivelerà fondamentale: “Ero uscita da un buco nero, mi sentivo bene dopo molto tempo, con una nuova energia. Dopo quasi due anni dall’ultima PMA, con mio marito eravamo ad una impasse. Per sbloccarci abbiamo scelto di fare counseling e si è aperto un vaso di pandora; abbiamo realizzato che c’erano dinamiche che andavano ben oltre la fertilità, e questo ci ha permesso di capirci molto più di prima. Siamo arrivati ad una decisione comune: facciamo un’altra PMA, ma questa è l’ultima. Il patto è che avrei avuto molto più supporto e non mi sarei più sentita così sola”.
Federica torna a riaffrontare la procedura, dopo un percorso durato anni, con un mindset e una forza interiore completamente nuovi: “Ci sono arrivata dopo anni di yoga, ricerca personale, counseling di coppia, e soprattutto con zero aspettative, ero in pace con me stessa. Scelsi di non dirlo a nessuno e di fare tutto ad agosto. Non smisi mai un giorno di insegnare e di usare il mio corpo. Dal monitoraggio uscirono solo due follicoli, mi dissero che erano troppo pochi, che avrei dovuto aspettare un altro mese. Ma ne basta uno, quello giusto, non è così? Dissi di procedere. Uno di questi, o il terzo spuntato a sorpresa durante il prelievo, era Arianna, la nostra bambina. E rifarei tutto da capo”.